
C’è una differenza sostanziale fra uno spingilegno e un giocatore di scacchi, la stessa che c’è fra uno scrittore e un artista della parola. All’inizio c’è quel bianco, quella scacchiera così regolare, così confortevole e confortante perché ha uno spazio da riempire, uno spazio creativo. Non c’è foto migliore per far capire il gioco degli scacchi di quella scattata nel 1966 da Robert Descharnes a Salvador Dalì e Marcel Duchamp: scattata dal basso, da sotto la scacchiera, mentre i due sfidanti si accovacciano per muovere i loro pezzi nascosti alla prima vista dell’osservatore: una composizione intima, come la performance dello stesso Duchamp immortalato mentre gioca con Eve Babitz completamente nuda, forte, che racchiude il momento in cui due persone entrano davvero a contatto, collaborano per un’opera d’arte, parlano una lingua che per altri non esiste. Come la scrittura, la partita a scacchi è una performance artistica, che nasce da un momento, un attimo, un confronto (la partita appunto), fra due spiriti creativi, nella sua irripetibilità: “Gli scacchi sono una delle poche arti in cui la composizione si realizza contemporaneamente alla performance” (G. Kasparov). Gli scacchi sono un’esperienza sensoriale omnicomprensiva, che tiene insieme tutto e si basa su alcuni riti, come quello del fumo della sigaretta del giocatore che si intreccia con i suoi pensieri più remoti, nei piccoli tic: quel momento di concentrazione assoluta nasconde dietro l’imperturbabilità dello sguardo, la fredda e calcolatrice forza d’impatto del giocatore che si scontra con i suoi limiti e soprattutto con la gioia, che si misura con l’infinito. Come nel momento immortale di una creazione artistica. Ci sono diverse possibilità per chiudere una partita: vincere, pattare, essere sconfitto o arrendersi. In tutti i casi, comunque, la partita non finisce mai e un attimo dopo aver spinto l’ultimo pezzo, esce spontanea la domanda: “Un’altra?”…
Ivano Porpora è stato un giocatore di scacchi e adesso, trasferito a Milano, scrittore e animatore del Penelope Story Lab, laboratorio di scrittura creativa. Ma il suo studio, il suo angolo da cui guardare il mondo, è composto da una scacchiera e dei pezzi da gioco, da libri di scacchi, da ricostruzioni minuziose da raccontare e storie sempre nuove che si affacciano alla sua fantasia. Dopo una serie di romanzi - La conservazione metodica del dolore (Einaudi 2012), Nudi come siamo stati (Marsilio 2017), L’Argentino (Marsilio 2018), pubblica oggi il suo primo saggio su una sua passione primordiale, gli scacchi. Per quanto il volume sia corredato da un glossario per non addetti e dall’elenco dei campioni del mondo, per quanto ci siano elementi di pedagogia scacchistica per spiegare le regole base ed alcuni trucchi del gioco più trasversale dell’intera cultura mondiale, l’obiettivo non è quello di fare un manuale del perfetto scacchista, ma di costruire una geografia interiore che percorra le emozioni descrivibili che accompagnano il gioco disegnandone l’assoluta bellezza artistica, determinandone i confini psicologici ed estatici, lasciando aperti gli spazi e gli orizzonti per nuove sfide: “Ma se Dio è davvero onnipotente, visto che il matto più breve possibile per un umano è in due mosse, potrebbe lui batterci in una mossa?”. In questo intervallo dubitativo c’è la creazione, c’è l’idea, c’è la possibilità. I passi dello scrittore che cerca di rendere corpo la sua arte e la sua narrazione si intrecciano con il senso della sfida, irrazionale nella sua ossessione, della partita a scacchi. Il libro per questo non è solo un saggio di scacchi, ma una lettura dell’arte stessa attraverso gli scacchi e con gli scacchi: le citazioni, le inferenze, i rimandi continui da un piano all’altro, da un’espressione artistica all’altra, ora la musica, ora la fotografia, ora l’immagine, costituiscono uno percorso appena accennato che lo scrittore, grazie allo stile potente e ammiccante, affida al suo lettore consegnandogli anche le chiavi per altre nuove e diverse sfide, quelle non ancora descritte.
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