
La vita scorre quasi per inerzia in quel paese di una manciata di abitanti, con un andamento lento, senza tempo, ciclicamente segnato dal cambio armadio quando cambia stagione. Le donne fanno risplendere casa, gli uomini sfacchinano a lavoro, i figli se ne vanno altrove in cerca di fortuna, per poi vergognarsi di tornare a trovare i genitori, sperduti in una landa desolata dell’entroterra sardo. Come si può aver pensato, allora, che fosse buona cosa scaricare proprio lì quel gruppo di immigrati disperati e sparuti volontari, che adesso si presentano alle porte? Certamente nemmeno loro avevano come meta delle faticose peregrinazioni il Campidanese, cercavano l’Europa ridente e piena di occasioni. Ad ogni modo, tant’è: di malavoglia e con una certa scorta di diffidenza, ma in qualche posto vanno collocati, qualcosa di cui sopravvivere va loro offerto. Inutile cercare di cacciarli, si sa che la “politica” non ascolta queste richieste, figuriamoci se vengono dall’ultimo angolo d’Italia; tanto vale che entrambe le parti si adattino. Che poi, in realtà, i mariti saranno anche in disaccordo, ma alle compaesane tutto sommato non dispiace avere finalmente un diversivo, qualcosa di cui parlare, qualcuno con cui confrontarsi. Quasi si stavano dimenticando cosa voleva dire prendersi cura del paese, prendersi cura di altre persone che non fossero mariti con il muso lungo e figli ingrati. No, “non era questo il posto” per collocare gli “invasori” ma forse era proprio questo il tempo per seminare il germoglio di una vitalità da troppo persa...
Un tempo gentile di Milena Agus ha il candore e la semplicità che contraddistinguono tutte le cose veramente belle. Con scrittura piana, essenziale, pulita (ma non per questo banale, anzi sempre ricercata) affronta una tematica scottante e di massima attualità quale è l’immigrazione, declinata come integrazione. Non paga di gestire questo già importante carico tematico, lo piazza nella periferia più estrema, l’entroterra sardo, spettacolare quanto tosto e fortemente caratterizzato, dove l’incontro con il diverso non è certo frequente come nelle grandi città e tanto meno caldeggiato o ricercato. Eppure avviene l’impensabile, l’incontro tra culture, tra realtà forse così “isolate” da tutto il resto, dall’individualismo e dalla frenesia cittadini, da essersi trovate tra loro. Da questo “tempo gentile” trascorso assieme ne deriva, per i migranti e per gli autoctoni, un’occasione preziosa, una rinnovata freschezza, un’apertura ottimista. Ne deriva, per chi legge, una grande lezione. Così come alti valori morali e sociali erano al centro delle tragedie greche e dell’epica, che tornano alla mente quando qui si incontrano Cori, epiteti, citazioni dell’Iliade, tutto in un tempo imprecisato, ma ciclico, scandito solo dalle stagioni e dalle festività. Dunque, allo stesso modo degli spettatori di allora, sediamoci, ammiriamo quest’opera e traiamone l’insegnamento puro e “gentile” che ne scaturisce.