
Lorenzo conosce il prigioniero 174 517, Primo Levi, quando sta tirando su un muro con un suo collega alla I.G. Farben a Monowitz, che dista circa sei chilometri da Auschwitz. Si rivolge, in cattivo tedesco, a quel prigioniero quasi invisibile, torturato dai morsi della fame, per comunicare che la malta sta per finire e di portarne un altro secchio. Il prigioniero esegue, ma per la debolezza lascia cadere a terra metà del contenuto, che subito si rapprende. Lorenzo lo guarda e sorride e pensa che non si può lavorare con gente come questa; schiavi sfruttati o borghesi incapaci di tenere un secchio? Anche Lorenzo è stato spesso maltrattato, tanti schiaffi gli ha dato la vita. È un uomo rissoso, alcolizzato, un poveraccio, alla soglia dei quarant’anni costretto ad emigrare dall’Italia per uno straccio di lavoro. Primo Levi si accorge che quell’ordine burbero in tedesco lanciato da Lorenzo ha un accento piemontese. Lorenzo Perrone lavora e non sta a farsi domande sui prigionieri nel campo, chi sono o che hanno fatto. Sa delle leggi razziali del 1938, ma non è il tipo da distribuire colpe o giudizi a cuor leggero. Da uomo semplice qual è sa perfettamente che in catene ci sono sempre i miseri, mentre il potere cambia scarpe ogni tre settimane. Primo e Lorenzo si guardano, si studiano, dopo diversi giorni inizieranno a parlare. È il giugno del 1944 e l’Alta Slesia è sistematicamente bombardata da raid via via più imponenti...
Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo è la biografia di Lorenzo Perrone, frutto di un’approfondita ricerca storica fatta da Carlo Greppi e da una nutrita squadra. La fonte primaria è Primo Levi stesso. Poi i suoi due biografi Ian Thomson e Carole Angier, che negli anni Novanta avevano già capito quanto Lorenzo fosse importante nella vita e nell’opera di Primo Levi. Infine, ci sono archivisti, famigliari, persone del borgo vecchio di Fossano e tutto il mondo che sta attorno ai luoghi dove queste vite si sono dipanate. Lorenzo Perrone, piemontese di Fossano nel cuneese, con la terza elementare, muratore quarantenne, lavoratore volontario in Germania, incontra Primo Levi, di quindici anni più giovane, ad Auschwitz III - Monovitz. Uno è libero, l’altro è uno schiavo. Levi è arrivato ad Auschwitz nel febbraio del 1944, è goffo e non è capace di fare il manovale. L’uomo di poche parole inizia subito ad aiutarlo nonostante non ci sia stata nessuna richiesta esplicita. La dose extra di zuppa che Lorenzo gli porta per sei mesi è fondamentale per farlo restare vivo, umano e vigile. Lorenzo non si limita ad assistere Primo nei suoi bisogni più concreti, va ben oltre, rischiando la vita per permettergli di comunicare con la famiglia. Si è occupato del suo giovane amico come solo un padre avrebbe potuto fare. Questo non era scontato, l’amicizia tra loro si manterrà anche nel dopo guerra e la gratitudine di Levi non finirà mai. Al punto che i suoi due figli Lisa Lorenza e Renzo portano il nome dell’amico. «E io gli ho detto: “Guarda che rischi a parlare con me”. E lui ha detto: “Non me ne importa niente”. Un uomo di poche parole, Lorenzo: è burbero, burrascoso, rissoso almeno nella prima parte della sua vita. Poi leggendo quello che Levi ha scritto su di lui si evince che era un uomo buono, dolce e capace di grande umanità nonostante l’apparenza. Lorenzo è anche un uomo disperato ed è questa la molla fondamentale che lo ha mosso, con una capacità radicale di fare il bene, senza curarsi delle conseguenze per sé stesso. È proprio il fatto che era abituato a fare a pugni con il mondo, a prendere schiaffi dalla vita fin da piccolo, da suo padre, dai fratelli, dai paesani, che lo porta verso il bene. Anche lui vive la condizione di sfruttato, di migrante, di irregolare e per questo capisce Primo. Lorenzo, un uomo in basso nella scala sociale, salva Primo che in quel momento era più in basso di lui, contrariamente alle rispettive provenienze. Auschwitz, infatti, è un mondo capovolto. Lorenzo Perrone, in quello specifico contesto si trova in una condizione di privilegio, per usare una categoria su cui Levi ha lavorato tanto e non ne ha mai approfittato. Poi, al ritorno, il mondo si ribalta di nuovo e Lorenzo nel suo borgo di Fossano vive di espedienti. Primo Levi invece, può lavorare come chimico, si sposa, diventa papà e inizia una carriera di testimone e di scrittore. Se Primo Levi rinasce, Lorenzo Perrone sprofonda. Nella testimonianza e nella vita, Levi dice che Perrone è il bene assoluto, un santo, che è l’unica rappresentazione reale, incarnata in una persona del bene. Lorenzo è l’antidoto a tutto il male che Levi racconta. La descrizione di Auschwitz è un vero e proprio studio dell’animo umano fatta con metodo scientifico. Quest’uomo di poche parole di parole nella sua vita ne ha scritte tante. Le lettere conservate nell’archivio Primo Levi ci restituiscono a pieno la sua umanità in modo davvero commovente. Un esempio per capire sta nella dolcissima e poetica frase di saluto che Lorenzo scrisse in una lettera del Natale del 1948: “E gli auguro buone feste natalizie e buon principio danno a tutta la famiglia e che riceva una scintilla dal proprio quore di chi sempre la ricordera suo amico Perrone Lorenzo addio”. La storia di Lorenzo ci insegna che ognuno ha la possibilità di essere un eroe, inaspettatamente, contro ogni previsione e conoscenza del bene stesso. Fragile di salute anche a causa dell'alcolismo, Lorenzo Perrone morì di tubercolosi nel 1952. Il 7 giugno 1998 fu inserito tra i Giusti tra le nazioni (dossier 3712), presso il museo Yad Vashem di Gerusalemme.