
Agosto 1942, Valcamonica. La corriera supera lentamente la curva, ansimando nell’ultimo tratto di salita, come una vecchia matrona con il peso degli anni tutto concentrato nel posteriore e un affanno che pare quello di chi sta per tirare le cuoia. Il viaggiatore, che si è addormentato con la testa appoggiata al vetro, annoiato da un paesaggio fatto di ghiaccio e neve, si riscuote dal torpore e la prima cosa che nota è la carezza di un sole del tutto inatteso. Il torpedone raggiunge il paese e il capolinea, esausto, e si arresta sul lato lungo di una piazzetta. Il passeggero – Fabio Settembrini, veronese – scende con la sua valigia malmessa, che contiene il cambio abito per una settimana e un sacchetto con mezzo chilo di caffè. Continua a chiedersi cosa ci faccia lì, in quel luogo sconosciuto che sa di paglia, fieno e lavoro nei campi. Sullo slargo davanti a lui ci sono un paio di edifici, alcuni con la facciata di arenaria, tra i quali ne spicca uno su cui è stata dipinta la parola “Municipio” in lettere svolazzanti e nere. Accanto, c’è un locale su cui campeggia la scritta “Caffè-Privativa-Alimentari”. Lì vicino, infine, c’è una panchina su cui siedono quattro vecchietti in giacca e pantaloni di velluto marrone, che lo guardano ma non emettono un fiato, neppure quando Settembrini chiede loro se l’acqua della fontana accanto alla quale si è portato sia potabile. È una voce alle sue spalle a rispondergli, invece. Si tratta di un uomo dal naso arrossato, le guance molli e il mento flaccido e un cauto sorriso, che assomiglia parecchio a una smorfia. I capelli radi e color del fango gli conferiscono un aspetto parecchio deprimente. L’uomo è convinto che Settembrini sia il nuovo maestro: l’ha intuito subito, anche se la sua giovane età per un attimo l’ha quasi ingannato. Settembrini, però, gli risponde che no, non è il maestro. D’altra parte la scuola comincia il primo ottobre e ora, a metà agosto, sarebbe davvero troppo presto per insidiarsi nel paese per il quale si è ricevuto l’incarico. L’uomo allora ci riprova, e chiede a Fabio se sia un viaggiatore, un venditore o se si trovi in quel luogo per via della miniera. Poi tace, ci pensa su un attimo, e realizza di non essersi ancora presentato: è Achille Rigon, il podestà, e arriva da Vicenza. Questa è l’unica cosa che Fabio già aveva capito: da buon veronese, odia i vicentini e ha riconosciuto l’odiosa cantilena del suo interlocutore…
Terza avventura per il commissario Fabio Settembrini, arguto commissario frutto della fantasia e della penna di Tita Prestini, giornalista esperto di editoria che dalla sua residenza sul lago d’Iseo imbastisce intricate trame che l’attento lettore è chiamato a sciogliere. Ambientato nel 1942, il terzo romanzo è in realtà un prequel e vede un giovane commissario Settembrini inviato dai superiori in una piccola località della Valcamonica, uno di quei paesini in cui la Seconda guerra mondiale – che sta per assumere contorni sempre più preoccupanti per l’Italia – arriva come un’eco, per indagare sulla scomparsa di un’archeologa. In un piccolo centro “lontano dalla polvere” e dalle grosse preoccupazioni, immerso in un paesaggio che diventa la cornice ideale nella quale ritrovarsi e dare significato alla propria esistenza, Settembrini scava nella vita di una donna interessante e misteriosa, i cui tratti più intimi, che il giovane commissario riesce a poco a poco a svelare, hanno lasciato un’impronta indelebile in tutti coloro che hanno intrecciato in qualche modo la loro quotidianità con quella dell’archeologa. Si tratta di un’inchiesta complessa, resa ancora più difficile dalla mentalità del piccolo borgo in cui è avvenuta la scomparsa: una realtà composta da una comunità molto chiusa, in cui nulla è ciò che sembra e che può facilmente trasformarsi da rifugio sicuro in prigione da cui risulta sempre più difficile riuscire a sfuggire. Passioni nascoste, segreti protetti ad ogni costo: difficile è per il commissario orientarsi in un tempo e uno spazio dai contorni poco definiti e mutevoli. Tra incisioni rupestri e grotte depositarie di pagine di Storia, Prestini guida il lettore ad interrogarsi sul vero significato della libertà, permettendogli allo stesso tempo di gustare un romanzo avvincente e ben scritto e di affezionarsi a un personaggio di carta ma dallo spessore umano, del quale si spera di leggere presto nuove avventure.
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