
2014, Ospedale (vicino a Tel Aviv). Il Generale, prigioniero di un letto, vive in un limbo comatoso di ricordi, di tempi replicati come il suono di uno sparo o distorti come quelli della propria infanzia. Raccolti al suo capezzale in attesa che qualcosa accada, i suoi famigliari e Ruthi, l’assistente personale del Generale – era con lui quando una notte si presentò con il suo miglior nemico, Yasser Arafat, e le chiese di improvvisare una cena mentre i due provavano a trattare un negoziato quasi impossibile. Nel mentre, in una prigione segreta nel deserto del Negev, il prigioniero Z attende di conoscere la sua sorte, recluso oramai da molti anni con la sola compagnia di un sorvegliante con il quale trascorre ore lunghe come secoli. Scrive lettere al Generale che ha voluto per lui quella condanna, con la promessa dell’inserviente che sua madre gliele farà avere. Ma dopo tanti anni nulla è accaduto, come se la sua esistenza fosse stata messa da parte. E poi una donna e il suo amante, un Mappatore, lei da una parte e lui dall’altra della striscia di Gaza. Un amore impossibile, con un invito a cena altrettanto impossibile se non immaginato in una terra di mezzo, in quella vaga linea che non appartiene né a un paese né all’altro. Il Generale scivola sempre più nel proprio profondo, verso una morte inevitabile. Proprio lui che ha sempre usato la morte come strumento di vendetta, una risposta agli attentati, ora muore. “Non fermarti”, così gli diceva Ben Gurion, “non fermarti finché i nostri vicini non capiranno l’antifona. Questo è il tuo scopo su questa terra. Tu sei qui esclusivamente per alzare il valore della taglia sulla testa di ogni ebreo”…
Romanzo di destini incrociati, storia d’amore, intrigo spionistico, un intreccio di politica, guerra e attualità. Tutti questi elementi ed altri ancora entrano in gioco prima che arrivi l’ora della cena al centro della terra, in luogo dal valore altamente simbolico perché metà sotterranea di un luogo già diviso a metà da una guerra che non smette e sulla quale si giocano negoziati impossibili. Ma i luoghi e i tempi sono anche altri. Berlino, New York, Capri, in un arco temporale che va dal 2002 al 2014. Quando un romanzo di poco più di duecentoquaranta pagine riesce ad abbracciare così tante situazioni, sentimenti ed emozioni, possiamo essere certi della qualità dell’opera e della mano che l’ha creata. Nathan Englander, nato e cresciuto a New York nel 1970, dopo alcuni anni trascorsi a Gerusalemme ed aver fatto ritorno negli Stati Uniti, dimostra con questo testo il suo grande talento che già aveva fatto conoscere ai lettori con i suoi precedenti libri, tra i quali ricordiamo Il mistero dei casi speciali e la raccolta di racconti Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank. La capacità dei grandi autori sta proprio qui: nel saper raccontare in modo semplice, assolutamente normale, una storia complessa così come lo è il conflitto arabo-palestinese e con un acume e uno spirito ironico sorprendenti. Ma è proprio in questi casi che il lettore intuisce lo spessore di un bravo romanziere. La capacità di mescolare la leggerezza di un dettaglio romantico o paesaggistico con un concetto e un sentimento profondi, dando piena libertà al lettore di viaggiare sopra la storia per poi entrarci dentro e attingerne a piene mani, non è cosa da poco. Anzi, direi che è dote piuttosto rara.