
Martino è consapevole di non possedere una coscienza, una condizione che lo spinge a commettere errori, a mettersi in cattiva luce fin da piccolo agli occhi degli adulti e soprattutto di suo padre. La sua indolenza e lo spirito di ribellione si manifestano prematuramente già all’asilo: tutte quelle stanghette da tracciare non lo entusiasmano affatto, da lì scatta come una molla la volontà di ribellarsi, ma anche di stare in disparte, quasi come un asociale, per farsi semplicemente i propri affari. Alle elementari, rigorosamente in un istituto privato riservato ai rampolli delle famiglie da bene, viene sempre accompagnato dalla tata, una donna energica che parlando non disdegna termini presi dal dialetto lucchese. Terribile il giorno che andando in bagno a fare la popò invece di usare il water decide di servirsi della vasca – la scuola in realtà era un’abitazione privata organizzata per ospitare i piccoli alunni. Martino finisce per sporcarsi i calzoncini, quando rientra in classe la maestra fa chiamare la bidella che lo riporta di filato a casa. Gli studi proseguono con le medie e il ginnasio presso istituti religiosi, dove il nostro non arriva mai a manifestare un particolare entusiasmo; anzi il suo carattere si accentua ulteriormente. Ai frati consegna versioni di latino tradotte con estrema originalità e fantasia al di là di quanto previsto dalla grammatica, peccato che puntualmente vengano preferiti gli elaborati dei compagni, molto meno geniali ed estroversi, ma puntuali nel rispettare le regole morfologiche. La notte nel silenzio della camerata scopre la masturbazione, ma le molle del letto cigolano e se svegliano il frate sorvegliante, questi non ci va leggero nell’imporre una severa punizione corporale. Durante la piena giovinezza si dedica alla musica, per passione ma ancora di più per richiamare l’attenzione della vicina di casa, che però risponde picche alle sue avance e più che mai alle serenate improvvisate. Arrivano gli anni delle contestazioni giovanili del “68, Martino non manca di offrire il suo contributo scoprendosi molto interessato alle vicende del Che, idolo dei giovani di sinistra, poi dimenticato dopo la sua caduta. Il padre lo rimprovera per la partecipazione alle proteste, facendogli notare che non possono esistere eventi animati solo dalla buona volontà, gli ideali che li muovono sono sempre legati a forze politiche di destra o di sinistra. Il severo genitore non riesce a capire che il figlio lo contrasta più per mettere in crisi l’autorità paterna, che per difendere gli ideali politici...
Una coscienza inesistente ripercorre alcuni periodi ed eventi essenziali nella vita dell’autore, interessato a raccontarsi a tutto tondo per svelare gli aspetti caratteriali che hanno profondamente influito sulle sue decisioni. Alla base degli stati d’animo di Martino ogni volta che si trova a fare i conti con la sua coscienza inesistente, si pone sempre il difficile rapporto con il padre, un uomo tutto d’un pezzo orgoglioso dei risultati conseguiti a livello professionale e per questo spesso in disaccordo con il figlio, troppo leggero a suo dire nel gestire interessi ed emozioni. “Eravamo in tre, io e le mie due sorelle – ha spiegato De Vita durante una recente presentazione a Lucca, presso l’Associazione Culturale Cesare Viviani – ma per papà il maschio era essenziale, lo voleva vedere crescere secondo i suoi principi. E quando ha capito che questo non sarebbe accaduto non è stato affatto soddisfatto. Sembravamo due persone completamente diverse, ma con il tempo ho capito che invece avevamo caratteri molti simili e difficili da accettare.” La mancanza di coscienza diviene così una sorta di giustificazione per le marachelle commesse fin da piccolo alla scuola elementare, proseguite da grande con comportamenti ribelli verso ogni tipo di autorità imposta, anche sul posto di lavoro. Tra le decisioni infelici e i comportamenti azzardati che lo rendono palesemente biasimabile, De Vita però non rinuncia mai alla sua ancora di salvezza, una valvola di sfogo contro l’insoddisfazione, la noia e il risentimento: la scrittura che lo accompagna per tutta la vita, fin da giovanissimo, con fasi alterne di successo e fallimento e finisce per renderlo piacevole al prossimo, persino anche alla moglie Giovanna che ne deve sopportare gli umori alterni. Credere nella scrittura ripaga l’autore dei mancati successi professionali, dei brutti rapporti con gli altri, è l’obiettivo essenziale della sua vita. Martino De Vita abita da sempre a Lucca ed è figlio di un noto avvocato e magistrato. Il suo primo romanzo che ha riscosso un certo consenso di pubblico e critica è stato Il bimbo nero, a cui sono seguiti L’uomo del congresso e Una coscienza inesistente. Più recente è invece Giulia la rossa, un’opera legata ai rapporti tra persone di diverse etnie nella società attuale. Nel 2020 è infine uscito Il machete dei Mai-Mai, una storia sulle strategie di gestione delle multinazionali, che nei progetti dell’autore deve essere la prima avventura di un gruppo di abili investigatori inserita in una serie.