
Rachele è al telefono con suo padre. Anche se i chilometri che li separano sono oltre duecento, alla ragazza sembra di vederla, l’espressione del genitore. Anzi, è evidentissima l’assenza di ogni espressione, su quel viso in cui mai un’emozione riesce a tradursi in parole. Il padre sta spiegando alla figlia che quel che è appena accaduto è null’altro che una scocciatura, una di quelle beghe che prima si risolvono e meglio è. La bega ha un nome: Massimo. Si tratta dello zio di Rachele, quel fratello che per suo padre è sempre stata la pecora nera e un’inesauribile fonte di guai. È sempre stato, a detta dell’uomo che le sta parlando al telefono con tono infastidito, una figura dalla quale tenersi alla larga – Rachele, infatti, ricorda di averlo incontrato una sola volta in trent’anni –, una persona che è bene non frequentare. Lo zio Massimo, per suo padre, è come se fosse morto da un pezzo. A dir il vero, però, ora che Massimo è morto in senso reale e non figurato, le cose sono un po’ cambiate. Sì, perché c’è di mezzo l’eredità. Quella che suo padre assolutamente non ha intenzione di accettare e che, quindi, passa di diritto a lei, Rachele. Occorre perciò– poiché Massimo non si è mai sposato, ma si è sempre e soltanto circondato di non meglio definite “compagne” – che Rachele si rechi in tribunale a Como, o in alternativa contatti un notaio lì dove vive lei, a Milano, per rinunciare a sua volta all’eredità. È pur vero, sta dicendo papà Braganza al telefono, che ci sono dieci anni di tempo per farlo, ma prima ci si toglie quella fastidiosa zecca di dosso, meglio è. A telefonata conclusa, Rachele controlla il calendario per capire quando programmare un salto a Como. Il venerdì successivo potrebbe sembrare un buon momento. Tuttavia, l’animo della giornalista la rende inquieta. La curiosità, forse proprio a causa della professione che esercita, è la seconda pelle della giovane Rachele che, fresca dalla separazione da Alessio – dopo una lunga e, a dir il vero, un po’ paludata convivenza – continua a chiedersi il motivo della fretta con cui suo padre intende liquidare l’intera faccenda. Forse perché l’eredità, nel caso dello zio Massimo, altro non è che una montagna di debiti? Può essere. Ma perché quell’uomo, una specie di Barbablù nell’immaginario familiare, è sempre stato confinato ai margini della vita di casa Braganza come una specie di fantasma? Cosa c’è sotto tanto silenzio e altrettanto astio?
Dopo Alice Allevi e Costanza Macallé, il nuovo personaggio femminile che ha preso forma e carattere dalla penna di Alessia Gazzola – autrice messinese da tempo trapiantata a Verona – è un’esperta degli ultimi trend, scrive di moda, gossip e life style per una nota rivista milanese e convive da parecchio tempo con il fidanzato Alessio, lo stesso dei tempi del liceo. Una vita tutta feste e lustrini, quindi? Non esattamente. O, per lo meno, non proprio nel momento in cui la vita decide di mescolare le carte e metterla di fronte a più d’un terremoto. Sì, perché il passato, un’eredità, un parente scomodo, un fidanzamento interrotto, un vecchio compagno di classe e più di una ferita mai del tutto rimarginata stravolgono la quotidianità e impongono alla giovane protagonista di operare alcune scelte, dopo aver scavato non poco nella melma sotto la quale parecchi scheletri sono stati opportunamente sepolti. Lo zio d’America e la sua eredità si rivelano molto meno dorati di quanto i soliti cliché possano far pensare; il passato – specie quello dei genitori della protagonista e, di riflesso, dello zio Massimo, la pecora nera – non ha le tinte rosa con cui i ricordi di Rachele l’hanno dipinta; il dramma di Simona, l’amica d’infanzia, ha ancora qualche lato oscuro da sondare; l’amore compie giri davvero strani e la ragnatela di intrecci che dipinge nasconde spesso angoli appuntiti, che sanno ferire anche a distanza di anni. Alessia Gazzola, forte dell’ironia che da sempre la contraddistingue e affidandosi come sempre a una penna dal tocco leggero ma efficace, fa dono al lettore di una storia davvero gradevole, in cui passato e presente si alternano e si intrecciano, per dar vita a una storia che strizza l’occhio alla versione tardo adolescenziale di ciascuno di noi, sottolineando che non si tratta tuttavia di quella definitiva. Ne deve passare di acqua sotto i ponti – sempre per restare in tema cliché – prima di diventare adulti. E anche allora, quando si è genitori di una trentenne in carriera, fratelli scapestrati e sognatori, giornaliste con un po’ di pelo sullo stomaco, notai di successo o vecchi amori mai del tutto dimenticati, restano lati in ombra, non detti che reclamano ascolto, richieste d’aiuto appena sussurrate che desiderano trovare la propria voce. E, soprattutto, resta anche la speranza che di Rachele Braganza, della sua famiglia ammaccata e di Manfredi si torni a leggere.