
Pietro il Rosso, il conferenziere che ascoltiamo tenere una relazione presso l’università delle Scienze, è ormai divenuto un personaggio celebre. Ma sono trascorsi soltanto cinque anni dal fatidico giorno in cui decise di abbandonare la condizione originaria di scimmia per entrare a far parte della collettività umana. Venne rapito da un commerciante di animali a nome Hagenpeck con l’intento di venderlo ad uno zoo. Nel corso della cattura, avvenuta nella Costa d’Oro, lo scimpanzé venne ferito da un colpo di fucile. La cicatrice a poco a poco si è trasformata in una macchia rossa indelebile, che oltre a segnare il suo nome – per l’appunto Pietro il Rosso – costituisce di fatto la traccia evidente che contraddistingue la sua provenienza. Ma della condizione di vita precedente egli non è in grado di dire nulla alla platea che lo ascolta presso l’Ateneo. Nel riavvolgere la bobina dei ricordi, egli ricorda invece con precisione assoluta quando si trovava chiuso in una gabbia imbarcata sul piroscafo diretto in Europa. Soprattutto non dimentica la circostanza in cui assunse la decisione di trovare una soluzione per riconquistare la libertà. Di come osservava i membri della ciurma presenti sull’imbarcazione, per poterne imitare gli atteggiamenti e affrancarsi, convinto che la fuga non sarebbe stata una scelta percorribile. Di quando comprese che la prima mossa da compiere era quella di emularli, proponendosi come prima mossa di stringere loro la mano...
Delle opere dii Kafka conosciamo soprattutto le memorabili Il processo, Il castello, La metamorfosi, Un medico di campagna. Meno noto e da non perdere è questo breve racconto crudo e paradossale nel quale il grande autore boemo ricorre ancora una volta all’espediente dell’animalità per scandagliare gli anditi più oscuri e controversi dell’esistenza umana. Uscito per la prima volta in Francia nel 1917 su “Der Jude”, rivista del grande filosofo e teologo austriaco Martin Buber, viene oggi proposto al lettore italiano dalla casa editrice La Vita Felice con testo tedesco a fronte, per la curatela di Micaela Latini e Ginevra Quadrio Curzio. Il racconto si presenta come una confessione narrativa, completamente priva di dialoghi e quasi del tutto vuota di eventi: una conferenza in cui la voce narrante dell’ex-scimmia dal mantello fulvo srotola il lungo nastro dei ricordi e dei pensieri a partire dal momento in cui assume la decisione di assumere condizione umana allo scopo di conquistare la libertà. Kafka è consapevole che la letteratura non è un’espressione elegante dell’esperienza, ma uno dei modi possibili di penetrare il labirinto sfuggente della comprensione della vita. Per questo motivo in ogni racconto ha indossato più panni di quanti se ne possano immaginare, perfino nelle fantasie più selvatiche. Come pure in questo racconto, in cui. trasporta il lettore in una dimensione dove niente è vero ma tutto è veridico, dove fa cadere i nostri schemi difensivi e ci porta a contemplare con occhi nuovi il nostro paesaggio interiore. Leggetelo, se ancora non lo conoscete, e ve ne renderete conto una volta di più.