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Una spassosa Apocalisse

Una spassosa Apocalisse

Prima di essere un prete, monsignor Yap è uno scienziato, laureato in medicina e in scienze biologiche. Prende i voti al termine della seconda facoltà, quando ormai ha anche un figlio. Ma è questo importante bagaglio di studi che fa sì che venga nominato quale membro della commissione che deve operare una ricognizione sulla Sacra Sindone e per lui un sogno si avvera perché vuole il ritorno del Messia: clonare Gesù avverrà per il bene dell’umanità! Sempre a causa della sua preparazione scientifica, padre Yap è spesso chiamato a far parte di commissioni religiose che si occupano di ricognizioni cadaveriche su santi e beati mummificati, ma alcuni errori di datazione dei reperti non gli sono perdonati dalla Chiesa, al punto che lo mandano a servire nell’ambulatorio dei focolarini. Fa di tutto per riscattarsi e ce la fa. Diventa famoso in tutta Italia ed è conteso dai canali nazionali, dove sostiene che trovare il cadavere di un santo con tutti gli arti al posto giusto accade di rado, come le apparizioni in cielo della cometa di Halley. Finché finalmente Yap è a Torino, a tu per tu con la Sindone e approfittando, anzi, sollecitando il resto della commissione che lui presiede a fotografare ogni particolare, si appropria di un piccolo lembo del Sacro Lenzuolo dove sa già che sono contenute alcune gocce di sangue di Gesù. Il primo passo è fatto, nessuno si accorge di nulla e ora tocca al laboratorio americano WILMA (World International Laboratories for Man Assistance), appena fuori Los Angeles...

Al di là dell’argomento, indubbiamente particolare e curioso, perché la clonazione di Cristo va ben oltre ogni immaginazione, davvero unico nel suo genere è di certo per quello che verrà dopo, ma soprattutto per il grande piacere di leggere questo romanzo, per l’utilizzo di un italiano colto di cui si era persa traccia nei libri, un italiano che va ben oltre i tremila vocaboli (ma non sono troppi rispetto a quello che si sente in giro?) che fanno parte, secondo studi e ricerche, della dotazione base degli italiani. Che Rodolfo Bersaglia fosse un uomo molto colto, si sapeva. Pittore e cultore di storia dell’arte, utilizza sempre un italiano forbito in ogni sua esternazione pubblica, ma in questa sua fatica letteraria (dopo tanti libri sull’arte, si è cimentato con un romanzo) c’è un utilizzo di parole antiche, pressoché dimenticate e proprio per questo che danno un piacere irresistibile, anche solo nel ricordarle: dal verbo tinnire al tessuto cannetè... Un italiano che per qualcuno può sembrare desueto, ammuffito, anche se è molto più probabile che sia sconosciuto ai più e per questo così facilmente catalogato, quando, invece, ci permette di capire quanto c’è di altro rispetto a quello che siamo soliti utilizzare e comprendere. Risulta, quindi, proprio alla luce di questo utilizzo di termini estremamente interessanti e al tempo stesso comprensibilissimi, ancora più preziosa l’apertura del libro con una epigrafe tratta da una lettera di Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, dove si sostiene, al di là del concetto di sonno e silenzio del territorio marchigiano, che la “letteratura è un vocabolo inaudito”... un po’ come le parole scelte da Bersaglia per raccontarci le avventure di padre Yap!