
Un giovane americano percorre in treno la Baviera, dividendo lo scompartimento con un uomo talmente pallido ed emaciato da sembrare uno spettro. Il viaggio attraverso la foresta germanica è per lui qualcosa di esaltante: è la continua scoperta delle sue origini, la sensazione di gioiosa familiarità che lo attraversa al passaggio dentro al rigoglioso teatro che fu l'habitat dei suoi padri. Può sentire la brama di sangue e desiderio insaziabili, musica incantevole e nobile poesia. E anche se fuori è freddo, e la foresta è buia e innevata, una sensazione di felicità lo pervade. Sente di essere arrivato a casa... Richard Brandell è un grande attore di teatro, un uomo molto bello dai lineamenti regolari e possenti i quali vengono distorti e gonfiati quando la sua anima è in preda all’agitazione. Come quel giorno prima della sua rappresentazione del Riccardo III di Shakespeare: l’attore è convinto infatti che tutti lo odino. Critici, colleghi e persino il pubblico. Oh, se solo avesse rinunciato a luci e lustrini! Forse avrebbe guadagnato l’amore e il rispetto di una famiglia tutta sua. E se non fosse così stanco e amareggiato? Forse potrebbe ancora godere delle cose più semplici della vita: l’odore delle mele sui banchi di un mercato, le voci dei bambini che giocano, il colore acceso di un vecchio muro di mattoni... All’alba di una mattina di settembre, il circo arriva in città. Un ragazzo e suo fratello raggiungono eccitati la zona squallida e pericolante dello scalo ferroviario, dove le carrozze gialle e sontuose dei circensi vengono disposte in fila sui binari, e tra luci, strilli e imprecazioni, cominciano convulsamente – ma ordinatamente ‒ ad essere scaricate... Dick Prosser è il nuovo nero degli Schepperton. È un uomo educato, inquadrato, estremamente intelligente; in passato è stato un soldato nelle file dell’esercito degli Stati Uniti, e non c’è niente che non sia capace di fare con le sue mani possenti. Cucinare, boxare, rassettare, sparare, accatastare legnetti per accendere il fuoco. Tutto con una precisione e una disciplina quasi maniacale. Per i ragazzi del quartiere – nei confronti dei quali Prosser utilizza sempre il rispettoso appellativo di “ signore ‒ è un piacere stare a guardarlo e farsi consigliare. L’uomo sa anche essere sinistramente veloce e silenzioso; più di una volta ai ragazzi capita di trovarselo d’improvviso alle spalle mentre si trovano seduti in contemplazione del mondo...
Osannato dalla critica, citato come esempio illustre nei corsi di letteratura e di scrittura creativa delle università americane; adorato da “quelli” della beat generation, che ne hanno subito fortissima l’influenza: eppure Thomas C. Wolfe, autore ambizioso e anticonformista considerato tra i più geniali del panorama letterario statunitense, soleva egli stesso definire il suo operato come un totale, grossissimo fallimento. O per meglio dire “il più magnifico dei fallimenti” , per usare le parole utilizzate da William Faulkner in un’intervista del 1958. Wolfe, nella sua brevissima ma intensa carriera (morì a soli 38 anni di polmonite contratta, pare, dividendo una pinta di whisky con un vagabondo ammalato di influenza in un bar di Seattle) si rammaricava di aver mancato l’ obbiettivo: quello di portare sulle pagine tutta l’umana esperienza, senza briglie e senza schemi. I suoi leggendari manoscritti-fiume ‒ dai quali è poi scaturito fuori il suo romanzo più conosciuto, Angelo, guarda il passato nel 1949 ‒ hanno sempre incontrato le forbici impietose degli editor più in voga del periodo, in particolare quelle di Maxwell Perkins (scopritore tra gli altri di autori come Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald), il suo “rimaneggiatore” più feroce, nonché suo grande estimatore. Ma chi avrà il piacere di leggere questa piccola ma preziosa raccolta, che consta di cinque brevi racconti molto diversi tra di loro per argomento e stile, si renderà conto che anche in pochissime righe Wolfe ‒ che ha sempre affermato di avere bisogno di molti fogli bianchi a disposizione per scrivere ‒ riesce a restituirci la vita in modo perfetto, accorato ed energico, forse non propriamente ligio ai classici canoni narrativi, ma neanche così indisciplinato come in tanti lo hanno accusato di essere. Rabbia e dolore, stupore e meraviglia, rimpianti e rimorsi, amore e amicizia, senso di appartenenza, angoscia: i sentimenti vibrano, dipinti nel volto contratto e inquieto di Richard Brandell ne L’inverno del nostro scontento, negli occhi neri e profondi dell’ambiguo Dick Prosser ne Il bambino e la tigre, o nel viso eccitato dei due fratellini de Il circo all’alba. Pezzetti di vita americana – e non – fissati con maestria come in un’istantanea, con una (sovra)abbondanza di dettagli, colori, suoni, odori e voci che tuttavia è ben lungi dall’annoiare. Scrittura affascinante quella di Wolfe, merita una lettura attenta.