
Come spiegare la “caratteristica innegabilmente più paradossale della mente umana: il tentativo di trarre una forma di appagamento, prima facie incomprensibile, dal subire dolore o dall’infliggerlo ad altri esseri senzienti”? Chi ritiene che alla base del comportamento umano ci siano esclusivamente la ricerca del piacere e la paura del dolore non può che essere smentito da una serie infinita di circostanze che demoliscono e ridicolizzano questa apparentemente logica impostazione. Verrebbe dunque da pensare che la fascinazione per la ferocia – sia nei comportamenti violenti individuali o di massa, sia nei rapporti sessuali – sia una sorta di antico retaggio, la traccia remota lasciata nella nostra psiche da un’umanità ferina e selvaggia. Ma gli antropologi hanno svelato che le popolazioni più primitive e isolate tra quelle presenti sul nostro mondo non paiono nemmeno conoscere la guerra e i crimini violenti e praticano l’amore libero, senza gelosie né aggressività né perversioni. Anche tutte le scoperte dei paleontologi confermano che i primi ominidi erano frugivori e raccoglitori, mandrie di grandi scimmie pacifiche che vivevano sugli alberi o nelle vicine radure. E allora? Se i nostri antenati erano così mansueti, da dove viene la ferocia sepolta in noi? Viene da una scelta strategica, una svolta evolutiva determinata da un gruppo di uomini primitivi che – terrorizzati dai continui attacchi di lupi e leoni – hanno cercato, per difendere il branco, di imparare dai predatori più pericolosi. Tutto è nato da un travestimento da lupi, una “licantropia” consistente nell’imitazione del comportamento degli animali da preda e nell’indossare fisicamente, ritualmente la loro pelle. Gli uomini-lupo diventarono aggressivi, carnivori, violenti: cacciavano altri animali in branco usando tattiche copiate dai lupi, stupravano e rapivano le donne di altri branchi. Era nata la figura del guerriero, spaventosa e terribile per il resto della popolazione umana ancora mansueta, ma al tempo stesso affascinante: ecco il seme di sadismo e masochismo. “(…) La transizione dal gregge o dalla mandria di raccoglitori frugivori al branco lupesco di cacciatori carnivori fu un processo cosciente accompagnato da un profondo sconvolgimento emotivo tuttora presente nello strato subconscio, sovraindividuale e ancestrale della memoria umana”…
Quella del viennese Robert Eisler è una figura ottocentesca, più che novecentesca, malgrado invece abbia vissuto in prima fila eventi storici cardine del Secolo breve come la Prima guerra mondiale (combattuta come ufficiale dell’esercito austroungarico) e l’avvento del nazismo (fu internato nel 1938 a Dachau e Buchenwald, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale e del passaggio alla “soluzione finale” da parte delle autorità del Terzo Reich e quindi ebbe la possibilità di emigrare in Gran Bretagna, dove visse fino al 1949. Il suo anacronismo intellettuale stava soprattutto nella sua ostinata “tuttologia”, così lontana dal culto della specializzazione che ha preso piede nell’ultimo secolo e che infatti lo ha relegato a un ruolo più folcloristico che accademico, malgrado Eisler abbia avuto nella sua vita incarichi universitari importanti. La sua fama è dovuta soprattutto alle sue tesi “eretiche” sul Gesù storico, ma anche questa sua ipotesi antropologica sull’origine e la natura di sadismo e masochismo — esposta in una conferenza alla Royal Society of Medicine, a Londra, nel 1948 — è interessante, sebbene generalmente considerata ingenua e priva di reali pezze d’appoggio. Uomo diventa lupo, sin dalla sua prima pubblicazione, ha avuto una struttura davvero insolita. Consta infatti di una premessa dell’autore di cinque pagine, del testo della suddetta conferenza di trentadue pagine corredato da duecentoventiquattro (!) pagine di note e infine di trentatré pagine di appendici con approfondimenti su vari aspetti dell’argomento trattato. In questa nuova edizione si aggiunge una postfazione firmata da Brian Collins (professore associato di Classics and World Religions alla Ohio University e studioso di livello mondiale della religione indiana) lunga sessantasei pagine, che racconta il background culturale di Eisler e la sua vita (bizzarra la vicenda del suo arresto a Udine nel 1907 per il furto di un libro antico, tra l’altro, che Collins spiega con comportamenti psicotici derivati da una febbre malarica). Un volume curioso, dall’impostazione commoventemente pacifista — si era appena concluso l’orrendo massacro della Seconda guerra mondiale e della Shoah — perché ipotizza che la violenza bestiale sia una sovrastruttura (anzi, una vera e propria scelta) e non un istinto umano profondo e che quindi possa essere in qualche modo “eradicata”.