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Urla sempre, primavera

Urla sempre, primavera

8 settembre 2043. Egle ascolta la numerosa serie di fonogrammi che la madre Zelinda le ha lasciato, registrati diversi anni prima: contengono la storia di Zelinda, di Guido (il padre), e informazioni che le saranno necessarie. I fonogrammi sono l’unico sistema che la Venerata Gherusia, l’oligarchia al potere, non può rintracciare. I messaggi iniziano nel momento in cui Guido e Zelinda, all’ottavo mese di gravidanza, fuggono per le strade di Genova, durante una guerriglia urbana, inseguiti dalle Milizie. Le vite di Zelinda e di Egle sono in pericolo perché avere figli è proibito per legge, pena la morte. Riescono a trovare riparo in una casa di campagna, accolti dalla famiglia Giuliani. Nadia e Carlo sono reduci della Rivoluzione del 2001 e condividono pienamente la lotta di chi resiste a Metropoli (la nuova Italia). Da quando la Venerata Gherusia è salita al potere la democrazia è morta: oltre al divieto di procreare, non esiste più l’educazione scolastica, la nuova lingua è un insieme di suoni onomatopeici, di parole (poche) messe a caso, i verbi sono sballati, la Natura è considerata nemica perché rilascia anidride carbonica ( la scienza non esiste più e di conseguenza la nozione della sintesi clorofilliana), l’aria è irrespirabile, gli animali sono stati cacciati e vivono nei boschi insieme agli Orfani, i bambini che la mano assassina della Gherusia non è riuscita a ghermire. Zelinda ha un dono che è convinta di riuscire a trasmettere a Egle: può entrare nei sogni degli altri; spera che Egle possa addirittura superarla in potenza e riuscire a porre fine alla dittatura degli anziani della Gherusia, prima che tutti i cittadini vengano costretti ad estinguersi, entrando nei sogni dei sopravvissuti e convincendoli a seguirla nell’impresa. Quando Egle ha quattro anni, e ha già dimostrato di essere effettivamente più potente della madre, riuscendo a far apparire ciò che sogna, i genitori sentono avvicinarsi il pericolo e la abbandonano nel bosco. L’ultimo messaggio di Zelinda è di cercare il nonno Spartaco, suo padre, che ha lo stesso dono e può quindi insegnare alla nipote ad utilizzarlo nel modo migliore...

Quello che l’editor/scrittore genovese Michele Vaccari ci propone è un romanzo multigenere (uno slipstream), in cui si fondono e confondono distopia, ucronia e fantascienza, un progetto sicuramente ambizioso che si snoda in più di quattrocento pagine. Riuscito? Vediamo. Intanto, la dedica in esergo “A tutti gli uccisi dallo Stato”, mi porta a definirlo anche un romanzo “politico”. Tanti sono i riferimenti, più o meno simbolici, che si rincorrono. La Rivoluzione del 2001, a cui Nadia e Carlo fanno riferimento, è la manifestazione contro il G8 di Genova dello stesso anno; Carlo, che di cognome fa Giuliani, dice “Ci hanno cambiato proprio il modo di vedere e vivere Genova. Via Tolemaide...Ogni luogo che avevi conservato in un certo modo nella memoria, dopo il 2001, è diventato altro. La mia Genova...la medaglia d’oro della Resistenza, era un simbolo, un forte da abbattere, per la destra un monumento da abbattere...Il G8 è stata una vendetta. Le strade a ferro e fuoco, le donne picchiate ovunque, aggredite per prime, massacrati a caso i pacifisti, gli ecologisti, gli indifesi, gli sfigati, i deboli”. Carlo ha “una lunga cicatrice nel punto in cui la fronte curva a destra”: al vero Carlo il proiettile è entrato dallo zigomo sinistro; la Carneficina di cui si parla porta il cervello alla Scuola Diaz, Benito è il nome proprio di uno dei cameraman presenti sul luogo. Insomma tutto parla di destra, di uno Stato di polizia, di uno Stato assassino che ritroviamo paro paro nell’iperbole della Gherusia, termine preso a prestito dall’antichità dove la Gherusia era il consiglio degli anziani; Venerata strizza l’occhio alla Massoneria (il Maestro Venerabile). I “j’accuse” di Vaccari sono molteplici (già la dedica mi pare abbastanza chiara), portati all’esasperazione per questo tipo di narrativa: dall’annientamento dell’ambiente e della natura in genere (tema ecologista), all’istupidimento del linguaggio (analfabetismo funzionale e linguaggio stitico e abbreviato dei social), allo specismo, alla paranoia del microchip iniettato col vaccino anti-Covid 19, che qui è una sorta di carta d’identità. Parlando di struttura, il libro è suddiviso in “libri” (capitoli), ognuno dedicato a un personaggio e questo aiuta, il più delle volte, a districarsi nello spazio e nel tempo, considerando che l’intreccio è costruito su un’alternanza di tempi. Le varie sequenze (descrittive, narrative, riflessive, dialogiche) sono alternate in modo abbastanza armonico e si incappa spesso in brani di una scrittura bellissima, a tratti quasi lirica, che ammalia e travolge. Notevole poi l’inserimento di tutta una serie di avvenimenti e di gruppi estremisti ignoti a molti. Punti deboli? La lunghezza: qualche pagina in meno sarebbe stata gradita, magari togliendo spazio ad alcune descrizioni troppo dettagliate che arenano l’interesse e spingono a saltare più in là. La “lingua nuova” risulta banale; certo, nessuno pretendeva da Vaccari di essere un novello Paul Frommer, il linguista americano che ha creato la lingua dei Na’vi in Avatar, ma forse uno sforzo in più poteva essere fatto; glielo si perdona se con ciò ha voluto effettivamente rappresentare l’istupidimento del linguaggio a cui si potrebbe andare incontro. Molto efficace la connessione di Egle con gli animali così come il rapporto di comunione di intenti, ma la fuga di Spartaco in groppa a Cinghiale Micotico la trovo umoristica in un libro dove c’è ben poco da sorridere. È stata fatta poi man bassa un po’ di qua e un po’ di là per ciò che riguarda la tecnologia: la telepatia, qui espressa nella mentefonata, è già stata introdotta altrove e molto prima (Stephen King, in Carrie e Shining), la frase in cui Egle ammette l’immane fatica di “tenere i sogni tutti dentro” la mente ricorda quando il Professor X della serie X-Men entra in contatto mentale con tutti i mutanti, il dispositivo inserito nel palmo della mano del commissario Giuliani è già stato visto almeno in Total recall. Cose già scritte possono essere prese in prestito, con le dovute modifiche: l’autore avrebbe potuto forse essere solo un po’ più creativo. In conclusione, storia molto interessante, quasi sempre originale, ma un progetto riuscito solo a metà. Si apprezza il coraggio della dedica, che a qualcuno potrebbe far chiudere la lettura già lì.