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Vardø - Dopo la tempesta

Vardø - Dopo la tempesta

“Non desidero altro. Liberare il mondo dalle streghe affinché possiamo vivere tutti nella pace di Dio. E se l’unico modo di farlo è con una guerra, così sia”. Absalom è tornato ubriaco dalla cena con il Lensmann e quando è in quello stato Ursa sa che è ancora più pericoloso di quando è sobrio. Sono giunti su quell’isola sperduta a nord della Norvegia da sei mesi e lei inizia finalmente ad abituarsi al clima rigido, alla mancanza di cibo e di tutte quelle piccole cose che ora ricorda come comodità, e che appartengono al passato di quando ancora non era sposata. Ma non Absalom: è ossessionato dalla fede e dal voler lasciare un segno lì, a Vardø, dove il re lo ha mandato in qualità di sovrintendente. L’ostilità del territorio la prende come sfida personale al suo potere. Si sono sposati nel giro di una settimana, lei scambiata come merce preziosa a Bergen, poco prima di salire su una baleniera diretta verso quel posto dimenticato da Dio che ormai ha imparato a chiamare casa. Quando lo ha sposato, Ursa si è convinta di poterlo amare. Ha accettato la freddezza, le violenze sessuali e la solitudine che le sono arrivati come dono di nozze. Ma ora, mentre è a letto ed è costretta a guardare quell’uomo più da vicino di quanto non sopporti, si rende conto che non è solo disgusto quello che prova nei confronti di Absalom. È paura. Un cieco terrore verso quell’uomo che poco prima, nel bel mezzo della cena, ha confessato di aver ucciso a mani nude una donna accusata di essere una strega. A terrorizzarla non tanto il gesto crudele, quanto il senso di esaltazione e compiacimento con il quale lo ha descritto, quasi a voler veder riconosciuta la sua dedizione alla causa...

“Credeva che in quel mare non potesse succedere niente di peggio, credeva che niente potesse rivaleggiare con la malvagità della burrasca. Ma adesso sa che è follia credere che il male sia solo là fuori. È qui, in mezzo a loro, cammina su due gambe, emette condanne con lingua umana”. Quando si parla di caccia alle streghe, la mente corre veloce al processo di Salem dove, nel 1692, furono condannate a morte 19 donne accusate di aver venduto la loro anima al diavolo. Pochi invece conoscono un episodio analogo avvenuto 70 anni prima in Europa, precisamente a Vardø, isola dell’estrema punta nordorientale norvegese, conosciuta anche come la “capitale delle streghe della Norvegia”. Durante la vigilia di Natale del 1617, una terribile tempesta si abbatté sull’isola procurando la morte di 40 uomini e lasciando vedove e orfane le donne dell’isola. Cinque anni dopo, nel 1621, otto di quelle donne furono processate e messe al rogo con l’accusa di stregoneria da parte del Lensmann Cunnigham – sovrintendente mandato sull’isola dal re Cristiano per assoggettare anche quel territorio alla sua idea di Chiesa. L’accusa era di aver scatenato volontariamente la tempesta, aiutate dal diavolo, per prendere possesso dell’isola e creare una comunità senza uomini. Un episodio storico commemorato da una installazione posta sull’isola a firma di Peter Zumthor e che la poetessa e drammaturga britannica Kiran Millwood Hargrave usa come punto di partenza per una narrazione potente, in grado di trasmettere l’orrore che in quel periodo attraversò quelle terre. Diina, Maren, Kirsten sono alcuni dei nomi delle protagoniste di questo romanzo corale, donne la cui sola colpa fu quella di aver dato vita a una comunità femminile che, sfidando i tabù dell’epoca, svolse lavori maschili (come la pesca e la macellazione) solo per garantirsi la sopravvivenza in quella landa desolata. A dare ritmo alla narrazione, l’alternarsi delle stagioni: dall’estate artica, ricca sì di luce ma non di calore, al gelido inverno sferzato dal vento e perennemente buio. Un buio non solo atmosferico ma anche – e soprattutto – ideologico. “Oh Dio, abbi pietà di noi. Siamo state noi a cominciare e non sappiamo come porvi fine”, dirà una delle protagoniste dopo aver visto una di loro messa al rogo: una frase che racchiude non solo l’orrore di allora, ma di qualsiasi epoca che mette al bando tutto ciò che non comprende e che non si vuole conoscere. Un messaggio valido anche nella nostra epoca, dove le fiamme della non accettazione magari non saranno più reali, ma non per questo meno pericolose.