
È uno splendido e assolato pomeriggio domenicale di sole, nel quale ogni cosa che si possa vedere, il tetto del carretto dei gelati, gli occhi dei gatti randagi, il rubinetto della fontanella pubblica e persino il basamento della torre dell’orologio cosparso di escrementi di piccione, non appare altrimenti che circonfusa di luce. Non ci sono ombre, tutto risplende. La piazza è animata, ma quando la donna entra nella pasticceria il suo rumore si affievolisce, attutito dalla porta girevole che si chiude alle spalle, e sostituito da un buon profumo di vaniglia. Sembra che non ci sia nessuno. Il negozio è pulitissimo, in ordine, i dolci sembrano tutti ottimi. Lei si è trasferita da poco nel quartiere, non conosce altri negozi, per questo non lascia perdere. Deve comprare due fette di torta panna e fragole. Nel frattempo la raggiunge un’anziana. Iniziano a parlare. La donna le racconta che deve comprare la torta per il compleanno del figlio. Fa sei anni. Sei anni per sempre. È morto dodici anni fa…
“La luce proiettava un quadro perfetto: nessuna tara, nessuna mancanza. Lo osservai a lungo. Anche scrutandolo con attenzione, in ogni dettaglio, non mi sembrò che questo mondo avesse perso qualcosa”. Gli indizi ci sono sin dalla prima pagina, se non dal titolo, fortissimo: nonostante l’atmosfera che descrive sia in apparenza la più tranquilla e pacifica possibile, il romanzo trasmette infatti una sorta di strana, latente e via via sempre maggiore inquietudine, che comincia – ma è solo l’inizio – a svelarsi compiutamente nel momento in cui la protagonista racconta l’evento più tragico e importante della sua storia, la perdita del figlio. Il terrore più grande per chiunque sia genitore, l’accadimento innaturale per eccellenza, tanto che non esiste nemmeno il vocabolo per descriverlo. Chi perde il coniuge è vedovo, chi perde i genitori è orfano, ma chi perde un figlio che cos’è? Come si chiama? Il giallo è molto buono, perché è un crescendo di tensione misurato ma inarrestabile, non ci sono elementi superflui o fuori posto, niente retorica né ridondanza, l’intreccio delle varie vicende è solido e saldamente dominato, la prosa avvincente.
“La luce proiettava un quadro perfetto: nessuna tara, nessuna mancanza. Lo osservai a lungo. Anche scrutandolo con attenzione, in ogni dettaglio, non mi sembrò che questo mondo avesse perso qualcosa”. Gli indizi ci sono sin dalla prima pagina, se non dal titolo, fortissimo: nonostante l’atmosfera che descrive sia in apparenza la più tranquilla e pacifica possibile, il romanzo trasmette infatti una sorta di strana, latente e via via sempre maggiore inquietudine, che comincia – ma è solo l’inizio – a svelarsi compiutamente nel momento in cui la protagonista racconta l’evento più tragico e importante della sua storia, la perdita del figlio. Il terrore più grande per chiunque sia genitore, l’accadimento innaturale per eccellenza, tanto che non esiste nemmeno il vocabolo per descriverlo. Chi perde il coniuge è vedovo, chi perde i genitori è orfano, ma chi perde un figlio che cos’è? Come si chiama? Il giallo è molto buono, perché è un crescendo di tensione misurato ma inarrestabile, non ci sono elementi superflui o fuori posto, niente retorica né ridondanza, l’intreccio delle varie vicende è solido e saldamente dominato, la prosa avvincente.