
Sauzer, che porta il nome del nemico di Kenshiro, Patrese, quello ricco; Braulio, quello scuro fuori e dentro; Trentatré, quello divertente. Sono quattro teenager che vivono gli anni Novanta nella provincia brianzola, terra di Berlusconismo, noia e ricerca di emozioni e che raccontano in maniera ciclica e immediata la propria vita mediante un affastellarsi convulso di storie e aneddoti. Un affastellarsi che in un crescendo di narrazione tocca vette di surrealismo e comicità. Sono supereroi, o almeno aspirano a essere tali. Sono Power Rangers, i supereroi del film cult degli anni Novanta. Sauzer è il Power ranger rosso; Patrese quello verde; Braulio il Power Ranger blu e, infine, Trentatré quello giallo. Per divertimento, proprio durante i lavori per la costruzione della Tangenziale Nord che hanno messo a ferro e fuoco tutto il quartiere, i ragazzi vanno in perlustrazione a Monza verso Cinisello e lì trovano alcune ruspe “enormi, assurde, cingolate”. È un sabato pomeriggio come tanti dove ammazzare la noia facendosi un giro nel cantiere deserto. “Così, per ridere” i ragazzi decidono di salire sulle ruspe e farsi un giro, di guidarle come già hanno fatto altre volte dopo aver scoperto che ci sono due leve: se le tiri avanti tutte e due la ruspa va avanti; se le tiri indietro entrambe, la ruspa va indietro; se le tiri una avanti e una indietro la ruspa gira su se stessa. Nel tempo hanno scoperto anche che quando si mette in modo, la ruspa fa un rumore tremendo e può anche sgommare e impennare. È all’improvviso che Braulio matura l’idea: gettare giù dalla scarpata la ruspa. I ragazzi sono d’accordo, così bloccano le leve in avanti in modo da far proseguire il mezzo da solo e lo dirigono verso il bordo della scarpata sempre più veloce finché non precipita giù ribaltandosi e restando a giacere su un fianco. Un’impresa folle che cagiona un danno incalcolabile tanto che due giorni dopo la cronaca locale nel descrivere il sabotaggio alluderà a organizzazioni criminali ignorando che a compiere il disastro sono stati quattro ragazzi annoiati per i quali l’accaduto è solo una delle tante avventure da vivere…
Ventinovecento è un romanzo inusuale perché frutto di una scrittura collettiva di quattro autori: Michele Cortellini, Luigi Limonta, Matteo Pozzi e Lorenzo Sala, meglio noti come “Rinomata Offelleria Briantea”. Trattasi di un’opera difficile da inquadrare per la sua frammentarietà e disorganicità ma probabilmente collocabile nell’ambito dei romanzi di formazione. La struttura è fortemente frastagliata, fatta di sussulti della memoria e dei ricordi dei quattro personaggi che iniziano spesso a raccontare “in medias res” senza consentire, a volte, al lettore una lineare e agevole comprensione della storia. Apprezzabile la spregiudicatezza nel rompere gli schemi e nello sperimentare nuove vie narrative, così come l’ironia, l’immediatezza del linguaggio. Un’opera, dunque, che incuriosisce per la particolarità ma che risente della diversità delle voci narranti e dell’assenza di una matrice davvero unitaria che agevoli il lettore nella comprensione del filo conduttore sotteso alla storia.