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In viaggio con Benjamin

In viaggio con Benjamin

Un padre e un figlio, al riparo di una capanna in mezzo ai boschi. Sta per scendere la notte, con il legno hanno ricavato rudimentali pezzi di scacchi per giocare. Silenzio. Il sudore sulla pelle mentre camminano tra prati, colline, circondati dalle vette di montagne innevate. Ora. Una stanza d’albergo sciatta, letti sui quali abbandonarsi alla stanchezza. Gente tranquilla che ti accoglie, pasti ristoratori. È stata estate molto tempo prima. Spiagge greche, caldo sulla pelle e sole fin dentro le vene. David si ritaglia piccoli sfoghi al desiderio sessuale in bordelli e incontri casuali. Benjamin vuole sempre fare il bagno. È da quando sono partiti da Praga che vuole fare il bagno. Selva Boema, Austria, Italia e Trieste, poi imbarcarsi verso la Grecia. David ha portato suo figlio in viaggio. Verso la sperdutezza. Ha lasciato alle spalle un lavoro di successo, nonni invadenti, un padre che lo rimprovera. Una moglie appena seppellita, triste, che non amava. Ama Benjamin, e insieme viaggiano, sostano, e ripartono ancora. Macchina, nave. Sentieri, spiagge. Stanze d’albergo, ristoranti, e posti dove poter montare la tenda. Entusiasmo e insicurezza. La paura che qualcuno faccia loro del male. Il fastidio che qualcuno rinfacci loro responsabilità in attesa al ritorno. Quell’appartamento a Praga dove non vuole tornare. E tu, Benjamin, vuoi tornare a casa? Non ancora, non abbiamo ancora raggiunto la sperdutezza. Non siamo ancora andati più in là. Ma i parenti, la scuola, la casa? Una capanna nei boschi, la pioggia, i monti, le valli. Silenzio, solo loro due, padre e figlio, vicini l’uno all’altro. Viaggio, “ricordo di un periodo nel quale amavo, desideravo, vivevo. Chi può dire la stessa cosa di sé?”…

Questo padre fuorilegge abita un corpo di emozioni, fragilità, insicurezze, pulsioni, calore e brividi, desiderio e amore. Fuorilegge perché disobbedisce ad alcuni radicati comandamenti della civiltà. Fugge, dalla tomba della moglie, dall’appartamento chiuso di Praga, dalle pareti delle responsabilità e dal dover rendere conto ai nonni, a suo padre. Solo un’amica, Petra, segue le sue tracce, raccoglie le sue telefonate, può essere una nuova compagnia. Ma no, questo padre vuole esporsi, corpo e anima, e perdersi, smarrirsi. Accanto a sé Benjamin, per la prima volta, così accanto. Può un viaggio durare così a lungo? Finiranno i soldi, aumenteranno le difficoltà, gli ostacoli, i pericoli. L’estate finisce, il freddo arriva a pungere la notte. Il viaggio è in salita, la vacanza diventa un sospeso esilio verso nord, non lontano né vicino a casa. La pioggia si raffredda, il sole non scalda più, e si avvicina una tormenta di neve, e una lanterna nel buio, a colpire, chiudere, e poi ricucire lentamente i ricordi di un viaggio, a ricomporre cocci intorno al cuore. Viaggio esposto, viaggio di ferite, di tristezza, tristezza e amore. Danza sull’acqua – e la sensazione di stare appena sotto le onde, l’acqua dappertutto, oppure la nebbia, la nebbia nella quale si disperde il dolore più acuto, la nebbia dell’oblio – danza attraverso l’Europa, le frontiere, i caseggiati/residui del periodo comunista, la campagna rumena, popolo di stazioni e sale d’attese, i luoghi dove ci sorprendiamo a cogliere persone nuove in una familiare quotidianità,volti che incontriamo, temiamo, ringraziamo. Intanto che questo padre fuorilegge scende, ancora più giù, fino a sfiorare il crollo fisico, per tentare allo stremo di incontrare – scoprirsi salvarsi – il figlio. Nella sperdutezza, la speranza.