
I cantori omerici non descrivono la morte di Achille. Capaci di tecniche compositive che fanno invidia a qualunque scrittore moderno, illustrano le gesta dell’eroe all’inizio dell’<em>Iliade</em> ma della sua morte i lettori sapranno soltanto leggendo l’Odissea. Achille fu ucciso da una freccia scoccata dal più vile degli eroi: Paride. E Paride a sua volta fu ucciso da una freccia. Fu scoccata dall’arco che Eracle aveva regalato a un eroe spesso dimenticato: Filottète. Quell’arco assieme alle frecce, al ritorno dell’eroe da Troia, fu collocato in un luogo dell’Italia meridionale e a perenne memoria là fu eretto un tempio pin onore di Apollo. Oggi c’è ancora qualche pietra del tempio di Apollo Aleo, fra punta Alice e Cirò Marina, in Calabria. Si tratta di pietre abbandonate ad una miseria che Filottète non ha mai meritato. Per contro la natura magnifica – ulivi piegati dal vento, distese profumate di inula viscosa – trionfa su tutto coprendo anche uno stabilimento dismesso dell’Enichem, un’immensa proboscide scintillante che cala in mare e che dovrebbe essere rimossa. Rimuovere l’orrida immagine del recente passato industriale e ridare vita al tempio sembrano entrambi atti dovuti. Restituire onore a quelle pietre oggi abbandonate dietro una rete in gran parte divelta, eliminare i cartelli devastati dall’incuria, ripulire una grande buca zeppa di cenere proprio al centro del tempio dove si trovava la statua del dio, un dio giovane e bellissimo, la cui testa è possibile ammirare nel piccolo museo, saranno atti necessari per ristabilire il giusto equilibrio tra storia e paesaggio. Quel che resiste in questa terra sono a distanza di secoli le abitudini di rispetto per gli ospiti che Filottète e in generale i coloni greci intesero stabilire. Il custode cade dal letto, scende le scale, apre ai visitatori e illumina le due stanze del museo di Cirò Marina ed è felice che ci sia qualcuno in visita. Dovevano invidiare queste abitudini, i Greci che arrivarono qui nell’VIII secolo, molto dopo il mitico sbarco di Filottete. Crotone e Sibari giunsero addirittura a contendersi il tempio…
Un libro godibile e straniante quello che Matteo Nucci dedica alle testimonianze della civiltà greca in Italia. Godibile perché il percorso geografico che l’autore propone al lettore è piacevole, ricco di descrizioni particolareggiate di splendidi paesaggi del Sud d’Italia e dei relativi abitanti del passato e del presente e anche perché gli itinerari turistici descritti nel libro - talora desueti, talaltra famosi - sono sempre densi di informazioni e citazioni che arricchiscono il lettore. Eppure le strade e le tracce proposte dall’autore, al pari di trasognate zattere di salvataggio, trasportano colui che legge anche nella dimensione del mito, della storia passata che i luoghi rievocano. In questo senso la lettura è straniante e dissemina suggestioni che rimandano ai tempi antichi, agli sbarchi dei coloni Greci lungo le coste del Mediterraneo, alle splendide civiltà germogliate lungo le coste del Mar Jonio e Tirreno ed ai rispettivi eroi. Che siano individui realmente vissuti come Zaleuco e Pitagora, o figure mitiche, l’autore non lascia il lettore privo di informazioni utili. La narrazione si snoda dunque su due crinali: il reportage giornalistico, tenue e descrittivo, da portare lungo le gite e le escursioni per preparare le piste da percorrere e il saggio storico - legato al mito - inesauribile e dotto, adatto ai cultori dell’antichità classica e del mondo pre-romano.