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Viaggio in Oriente

Viaggio in Oriente

Nel 1841 Gérard de Nerval visse la sua prima grande crisi psicotica e subì il primo di una lunga serie di internamenti in manicomio. L’anno seguente cercò di placare il male degli squilibri schizofrenici attraverso la cura del viaggio. Ma non un viaggio qualunque, bensì un viaggio verso l’altro, verso le profondità perturbanti di se stesso, verso il sogno e il mistero. L’Oriente: più che un luogo, un contenitore di significati, un caleidoscopio culturale, un richiamo interiore. Tornato a Parigi, nel 1843, Nerval inizierà a rielaborare gli appunti presi durante il viaggio, aggiungerà pezzi di altri viaggi – in Germania e Austria – e pubblicherà nel 1851 questo suo magnifico, alchemico, preziosissimo Voyage en Orient. Una carrozza lo portò da Parigi a Vienna – “porta d’Oriente” – passando per Ginevra e Costanza – “una piccola Costantinopoli”. Da Trieste finalmente il Mediterraneo e una nave che dopo aver sfiorato Citera, l’isola di Venere e dei viaggi allegorici dell’Hypnerotomachia Poliphili, lo consegnò al porto di Alessandria e all’Egitto, la prima lunga sosta del suo viaggio. Al Cairo, Nerval cerca subito l’Oriente immaginato e non lo trova se non in forma di allusione, si accorge che gli sfugge dietro un velo che cela la bruttezza e lascia solo intravedere quanto è grazia, bellezza, gioventù. Si accorge subito che l’Oriente, in un certo senso, è un fatto puramente occidentale, quando nota che “solo a Parigi si possono trovare dei veri caffè orientali”. Tutto il viaggio di Nerval è filtrato attraverso il prisma della scena culturale parigina. Per i Parigini tutto il mondo reale, persino l’Oriente, appare come una sorta di sbiadito déjà-vu, imitazione del mondo vero visto a teatro e letto nei romanzi. Dice: “O natura! Bellezza, ineffabile grazia delle città orientali costruite sulle rive del mare, cangianti quadri della vita, spettacolo delle più belle razze umane, dei costumi, delle barche, dei vascelli che s’incrociano sui flutti azzurri, come ritrarre l’impressione che causate in ogni sognatore, e che tuttavia è solo la realizzazione di un sentimento previsto? Tutto ciò è già stato letto nei libri. Lo si è ammirato nei quadri….” In effetti, ciò che Nerval cerca, diverso in questo da tanti altri viaggiatori che lo hanno preceduto, non è l’Oriente da cartolina e da vaudeville, ma un arcano profondo che tenga a bada la follia, uno specchio oracolare che gli mostri se stesso, affinato al fuoco esoterico che sprigiona dalle terre in cui nasce il messaggio spirituale primigenio. In Egitto, tutto, persino un fagiolo, sembra posseduto da una divinità e le piramidi diventano teatri di percorsi iniziatici. Intanto Nerval al Cairo prende in sposa una giovane schiava malese, affitta una casa e cerca, per così dire, di integrarsi nella vita sociale del luogo. Cerca di prendere le distanze dal senso di superiorità europeo trova “che in genere questo povero popolo egiziano viene troppo disprezzato dagli europei”. Non sono assenti tuttavia momenti di profonda malinconia, e là dove mancano le nebbie e le foschie nordiche, ci pensa la sabbia del deserto a velare il sole infuocato di un offuscamento che si ripercuote sull’animo, come nell’incisione di Dürer. Le vampe dell’Egitto dopo un po’ si fanno insopportabili, e Nerval si sposta dalla terra bruciata verso le verdi sponde del Mediterraneo. Proseguirà per i Monti del Libano e del Carmelo, per approdare infine presso “lo spettacolo del porto di Costantinopoli, certo il più bello del mondo”...

Nerval è mosso anche da un interesse erudito verso le culture mediorientali. In particolare, si lascia intrigare dai diversi culti religiosi e dalle diverse confessioni che abitano quei luoghi. In Libano approfondisce la conoscenza della cultura e della religione dei drusi, di cui allora si conosceva poco in Europa, specialmente in quella Francia che ai fini dei suoi interessi coloniali sosteneva e aiutava i diretti rivali dei drusi: i cristiani maroniti. Ma più in generale, Nerval è riconquistato romanticamente dalla spinta originaria verso il sacro, e mentre tutti attorno a lui pregano in una maniera diversa anche lui dice la sua preghiera, “quella dei sognatori e dei poeti, esprimendo cioè l’ammirazione per la natura e la passione dei ricordi. Chi non adorerebbe negli astri del cielo le prove stesse dell’eterna potenza, e nel loro cammino regolare la vigile azione di uno spirito celato?”, si chiede cullato dalle onde del Mediterraneo sulla nave che lo porta verso Istanbul. Forse la città che lo affascina più di tutte, ma che descrive nel minor dettaglio. Rimane stregato dalla vertigine dei dervisci mevlevi, che definisce “una setta di comunisti musulmani”. Il tempo si slaccia dalla sua consecutio, la vertigine dei dervisci è la stessa dell’autore rispetto ai confini rigidi della realtà del tempo. Perfino quando descrive, la sua parola non è mai realistica, ma già infusa di mito, di favola, di sogno: in altre parole è già rappresentazione teatrale. Grazie alla consapevolezza dell’illusorietà dell’esistenza, sembra dire Nerval, ci emancipiamo. Come nota Bruno Nacci nella preziosa Introduzione: “Egli rispetta la realtà, ma non ci crede, ha bisogno di sfregarla, come la lampada magica di Aladino”. E così in Oriente tutto diventa racconto e dentro alla descrizione di Costantinopoli si incastona narrativamente il momento più alto di tutto il Voyage, ovvero La storia della Regina del Mattino e di Solimano Principe dei Geni, novella autonoma che è stata pubblicata anche separatamente dal Viaggio (in Italia da Adelphi, 2013), ma che qui viene messa in bocca a un cantastorie seduto in una delle tante fumerie della città. Nerval condensa qui le sue fascinazioni alchemico-massoniche per i viaggi allegorici, la tensione fra romanticismo e classicismo, la sua visione del conflitto fra le forze creatrici sotterranee del fuoco e quelle ragionatrici e lucide della terra; l’opposizione fra il logos maschile, uno e trino dei cristiani, e il vitalismo del principio femmineo. L’Oriente di Nerval, tra l’altro, è senz’altro un luogo femminile, ma non nel senso della pittoresca voluttà, delle danzatrici del ventre, dell’edonismo fine a se stesso. Il femminile che richiama Nerval in Oriente è piuttosto un mistero, una promessa di comunione con la natura, il ritrovamento epifanico dietro qualche volto di quello di sua madre, perduta in tenera età. Anzi egli ci tiene a smontare il mito dell’”oriente dei sensi” costruito dai viaggiatori precedenti: “Se ci si rendesse conto della dignità e della castità che pure esistono nei rapporti fra un musulmano e le sue spose, si rinuncerebbe a quel miraggio di voluttà che i nostri scrittori del XVIII secolo hanno creato”. Edward Said, insuperato censore della visione orientalista e delle sue deformazioni, riconosce all’opera di Nerval una sua peculiarità: “legata all’orientalismo e soggetta alla sua influenza, eppure mai immediatamente riducibile ad esso”, perché per l’autore il viaggio è il tentativo di ritrovare la presenza conciliante e uterina della madre: “L’Oriente è il simbolo del sogno-ricerca di Nerval e della donna sfuggente che ne è al centro, come meta e come perdita nel contempo”, e questo distingue Nerval dai tanti altri viaggiatori europei verso l’Oriente. Illustre predecessore è ovviamente Chateaubriand, ma come nota ancora Bruno Nacci “Chateaubriand viaggia sempre e solo verso Occidente, e la sua fretta documentaria, il suo incessante saccheggio di immagini e sensazioni ha più a che fare con il passaggio, altrettanto rapinoso, di Napoleone, che con la lenta e struggente traversata di Nerval.” Quest’ultimo, torna verso la Francia, dove l’Oriente svanisce come “uno di quei sogni del mattino”, ma portandosi dietro la sensazione profonda dell’universalità dell’esperienza umana, pur nella sua cangiante e teatrale varietà di forme: “mi sono sentito pagano in Grecia, musulmano in Egitto, panteista tra i drusi e sui mari, devoto degli astri divinità dei caldei; ma a Costantinopoli, ho compreso la grandezza della tolleranza universale.” Edizioni Ares di fatto qui rimette in commercio – e gliene siamo grati – a un prezzo accessibile e in versione tascabile, questa che è di fatto l’unica traduzione integrale del Voyage, come detto ottimamente curata da Bruno Nacci e pubblicata nei Millenni Einaudi nel 1963.