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Villa del seminario

Villa del seminario

Maremma, 1943. La fila dei carcerati ricorda a Renè il circo arrivato in città nel 1937, ma questi animali sono molto diversi dai cammelli e dromedari al guinzaglio con le bocche mangiate dalle mosche di allora. Innanzitutto sono uguali a lui e i suoi compaesani, forse un po’ più smagriti, e sembrano più pecore al pascolo, un soldato davanti e uno dietro, anche se la formazione rompe ben presto le righe, perché i militari sono ragazzi e vogliono approfittare dell’uscita per bere un bicchiere o intrattenersi con qualche ragazza. I carcerieri si distraggono e i prigionieri entrano nelle botteghe, lista alla mano, per procurare i rifornimenti necessari al seminario. Le donne invece non hanno incarichi, ma sono più sfacciate, non abbassano lo sguardo, col quale anzi, sembrano ammonire la gente del paese che accetta la loro situazione e non dice niente. Renè lo sa, e tacere lo ferisce, ma ci sono la guerra, la paura, la povertà, e il gelo che si fa sentire e già annuncia un inverno tremendo di certo non aiuta: i drammi altrui perdono importanza quando devi trovare il modo per mettere in tavola qualcosa per sfamare i figli. E talvolta sapere che qualcuno sta peggio dà un senso di rivalsa che è un toccasana per la dignità. Anche per questo nessuno si sdegna alla notizia di un campo di concentramento alle porte dello sperduto paese...

Non sempre il coraggio si dimostra soltanto con azioni eroiche o grandi slanci: lo dimostra Renato – Renè – Cappelli, ciabattino cinquantenne che a causa del suo difetto fisico ha vissuto una vita senza viverla, sempre in disparte, fino al momento in cui può dimostrare che quando si combatte c’è bisogno anche di piccoli gesti e ognuno deve offrire ciò che può. E Villa del seminario è anche questo: coraggio, lotta, resistenza. Sacha Naspini racconta una storia intensa e dolorosa tratta da vicende vere, citando personaggi realmente esistiti con un ritmo graffiante, spezzato, che procede quasi a singhiozzi e si increspa, appoggiando frasi su frasi, inizialmente difficile da seguire, ma con uno stile comunque ricercato, quasi poetico. Delicato a tratti, a tratti duro, anche senza essere esplicito nei particolari cruenti e negli orrori che sottintende, taciuti ma tristemente noti. L’uso di dialettismi e neologismi dà musicalità e realismo. Una guerra che assume significati più ampi: guerra a fame, povertà, solitudine, cattiveria, difficoltà. Renè è un personaggio chiave che racconta diverse figure della rivolta, diversi caratteri e personalità complementari. Amarezza, rabbia, dolore, rimpianto, ma anche amore, dedizione e riscatto sono altri ingredienti di quest’opera drammatica di resistenza e orrore, narrata da un punto di vista insolito, quello dei partigiani. Naspini pone l’accento sulla “malattia della dimenticanza” e sull’“affronto del silenzio”, un silenzio che pesa e fa rumore, esprimendo l’amarezza di veder dimenticati fatti ritenuti scomodi, come sempre è accaduto e accade: l’autore regala invece consapevolezza e memoria.