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Vite mie

Vite mie

La luce dell’alba taglia in due la cucina. All’altezza della porta è ancora buio, ma accanto ai fornelli, dov’è lui, già si presagisce il sereno. Agli altri, che stanno ancora dormendo e che lui lascia riposare ancora qualche minuto, farà sicuramente piacere svegliarsi in primavera. Si muove seguendo la solita routine: carica la moka grande di caffè e la mette sul fuoco, a fiamma viva. Il bricco con il latte, invece, va a fuoco minimo. Prende il tostapane dal pensile della credenza, cerca i vari pancarré e prepara tutto quanto permetta poi, quando siederanno a tavola per la colazione, di avere ogni cosa a portata di mano: il burro, la confettura di albicocche, le gallette e la merendina alla carota per Micol. Per Nico, invece, frollini al cioccolato, mentre per i due grandi, che fanno colazione più tardi, ci sono avena in fiocchi e yogurt greco, arance per la spremuta e integratori di proteine naturali. Prepara, per finire, le tazze, il miele, il cucchiaio grande per Agata e le posate per gli altri e, puntuale, alle sette e quattordici, comincia il giro di tutte le stanze e comincia a chiamare, uno alla volta, tutti. Nico alle otto deve essere alle medie, Micol alle otto e mezza alla materna e Agata alle nove deve stare in ufficio, mentre i due grandi, Carlo e Tiziano, vanno all’università verso le dieci. Dopo, lui potrebbe godersi la giornata di riposo, ma ha già diverse idee in mente: vorrebbe fare una passeggiata per il quartiere, magari leggere un po’, fare la spesa, cucinare e riordinare casa, collocando negli scaffali la pila di libri accumulata sul comodino. Sono impegni minimi, ma gli procurano una certa angoscia, come se si trattasse di chissà quali incarichi gravosi. Vuole cucinare cose buone, così stasera sorrideranno e scherzeranno tutti insieme, a tavola. Sarà sicuramente stanco e si chiederà, una volta ancora, come sarebbe se per una volta, una sola, decidesse di non occuparsi di nulla se non di trascorrere il suo giorno di riposo steso sul divano a sbocconcellare un avanzo di pizza mentre legge Balzac fino a notte. Forse durante la giornata diventerà intrattabile e resterà così fino al momento in cui fumerà l’unica sigaretta che si concede ogni giorno, quella che condividerà con Agata e gli parrà di gran sollievo. Forse questo è ciò che accadrà oggi. Ora non lo sa. Ora sa soltanto che non vede l’ora che arrivi un’altra cena insieme, per la famiglia speciale e molto molto allargata in cui vive...

Un lessico familiare moderno, intriso di bellezza e poesia, quella che è nascosta in ogni piega più riposta della vita: chiede solo di essere scovata e assaporata. Yari Selvetella, con una prosa infarcita di lirismo ma assolutamente efficace e modernissima, nonché di un’eleganza che va sottolineata, offre al lettore le pagine della quotidianità imperfetta e, proprio per questo, stupenda del protagonista, un quarantacinquenne figlio della borgata romana, che si occupa dei suoi figli, quelli geneticamente suoi e anche quelli che non lo sono. Sì, perché nell’eterogeneo nucleo che è la sua famiglia allargata, sono entrati, nel tempo, dolori e ferite, ma anche gioie che hanno i tratti del volto di Carlo che studia astrofisica, di Tiziano che vuole diventare regista, di Nico e di Micol, l’ultima arrivata di una nidiata in cui, tra litigate e risate, colazioni consumate in fretta ma tutti insieme, si respira amore, quello davvero con la A maiuscola. E se a volte, tra le tessere di questa routine, un pezzo non combacia perfettamente con gli altri e qualche incastro non riesce alla perfezione, non importa. Se ogni tanto Claudio, la voce narrante del romanzo, ha voglia di fuggire più lontano rispetto a quella parvenza di evasione che la sigaretta quotidiana gli concede, non fa nulla. Perché al di là dei sogni di fuga e oltre i puzzle raffazzonati c’è una comunione, un amore che è uno zoccolo duro capace di unire, come cemento a presa rapida, i componenti della famiglia di Claudio. Quel che davvero conta, al di là di ogni crepa e di ogni imperfezione, è la volontà di non perdersi e di trovare la poesia della vita in un ricordo, in una tavola apparecchiata con cura, in uno sguardo carico di significati. “La nostra famiglia è un sistema di pianeti e al centro di questo sistema c’è il riflesso di tutti noi, insieme: la volontà di non perderci, di volerci bene; è questo e nient’altro a esercitare la gravità, a mantenerci nelle nostre orbite”, scrive Selvetella. È, il suo, un libro da tenere con cura, perché racchiude tra le sue pagine un messaggio prezioso: oltre i tagli e i rattoppi, oltre le ferite e i cerotti, c’è tanta luce. È importante cercarla e farne tesoro.