
Val Tidone, tra il 1942 e il 1943. Tommaso e Camillo, 8 anni, sono amici inseparabili, tranne quando si mette in mezzo Lia, per la quale Camillo stravede. Per questo Tommaso non la sopporta e anche perché è la figlia di Gerardo Draghi, il ras del paese, che con le sue camicie nere terrorizza e prende a bastonate gli abitanti che non simpatizzano per il Duce. Durante una festa in piazza Draghi insulta e prende a botte Bartali, uno dei suoi bersagli preferiti che, come sempre, resta impassibile. Qualche giorno dopo Camillo arriva trafelato a casa di Tommaso: gli deve mostrare la scarpa di Franco, il figlio di Bartali, che lui stesso ha ritrovato nel bosco, confessando di aver visto il bambino in compagnia di Draghi. Franco non verrà più ritrovato. Tutti, in paese, incolperanno il ras. Con un salto di decenni, ci si ritrova catapultati nel 1998. Marta dopo 8 anni torna al castello di Boffalora, dove era stata ospite, ventenne, insieme ad altri amici, tra cui Stefano, di cui si era innamorata, morto in un incidente stradale poco dopo. Anche Lidia, per le vacanze estive prima di iniziare la scuola media, torna nella casa di campagna in una delle frazioni di Agazzano. È impaziente di rivedere Luca, il suo compagno di giochi. Nell’anno in cui non si sono visti sono successe due cose importanti nella vita del bambino: è andato a vivere con lui e la famiglia lo zio Camillo, affetto da demenza senile e, nel contempo, ha una nuova compagna di giochi, Lia…
Tommaso, Camillo, Lia, Lidia, Marta. La campagna piacentina e le colline che vi incombono, case nobili, case comuni, i fiori di campo, i boschi e le creature immaginarie che li abitano, il fieno, la paglia, gli adulti e i loro segreti. Nel notevole romanzo d’esordio di Laura Fusconi c’è tutto questo, intrecciato con grande autorità e padronanza del mezzo. La scrittrice sembra trovarsi tra le mani una boule de neige: i vari personaggi si presentano e si raccontano da sé e il romanzo si srotola, rigirandola. Poi la sfera si immobilizza e entra in scena l’autrice che, con un linguaggio essenziale, molte volte lirico e mai sopra le righe, allarga e definisce il paesaggio (nel senso più lato). Questa struttura, suddivisa in parti e capitoli, sempre circostanziati in anni e nomi, aiuta il lettore a trovarsi sempre a proprio agio tra analessi e tempo presente. Lo stile di Fusconi è chirurgico, con pochi ed efficacissimi termini ricostruisce scene e avvenimenti (la scena di Camillo e di Draghi nello studio di quest’ultimo ne è un esempio memorabile). Una volta chiuso il libro cosa resta? Intanto la certezza che molte volte i mostri che tormentano i bambini esistono proprio nella realtà a loro più vicina, che il passato può essere riscattato nel presente e che la memoria fa bene e fa male, il più delle volte anche allacciandosi in ossimori. Salutiamo con piacere la boccata fresca che ci porta questa giovane ragazza. Mi resta solo una curiosità: ma una ragazzina di otto anni come Lia, con un padre fascista dichiarato e molto osservante, che vive in un paesino della campagna piacentina nel 1942, è possibile possa conoscere il termine “Okay”? Una pedanteria che non intacca minimamente la bellezza del libro.