
Quella che pareva poter diventare una convivenza tutto sommato pacifica si è trasformata di colpo in una vicinanza cupamente minacciosa: il confine tra il territorio controllato dai Sussurratori e quello di Alexandria è segnato da una fila di pali sui quali sono infilzate le teste di Ezekiel, Rosita e altri dieci membri della comunità guidata da Rick Grimes. E le teste non sono morte, quindi Rick, Michonne – ex compagna di Ezekiel – Andrea, Carl e Lydia sono costretti a conficcare un coltello in ognuna di esse. Sconvolti, tornano ad Alexandria ad annunciare la tragica notizia ai loro compagni. I familiari e gli amici delle vittime chiedono vendetta, anzi danno per scontato che Rick stia già organizzando l’attacco alla comunità guidata dalla spietata Alpha. Invece Rick è titubante, teme le conseguenze di uno scontro aperto con un nemico così potente ma al tempo stesso sa che la sua scelta impopolare potrebbe causare mugugni e forse addirittura ammutinamenti e rivolte. Nei giorni successivi la sue peggiori preoccupazioni si rivelano azzeccate: Rick viene insultato, picchiato, messo in discussione: c’è persino chi suggerisce di utilizzare Lydia, la figlia della leader avversaria (ma anche compagna di Carl, figlio di Grimes), come ostaggio. Per impedire quella che considera una barbarie, Rick organizza la fuga di Lydia e Carl…
Il venticinquesimo trade paperback di The Walking Dead, che raccoglie i numeri dal 145 al 150 della serie regolare, detiene un singolare primato: è quello in cui gli zombie appaiono di meno. Anzi, praticamente non ce ne sono affatto, tranne le teste non morte delle prime pagine e le “pelli di zombie” indossate dai Sussurratori. Non solo: a mancare quasi del tutto è l’azione tout court, visto che fino a pagina 80 abbiamo soltanto dialoghi. Se da una parte questa è la evidente conferma della “diversità” della serie sceneggiata da Robert Kirkman, più simile a una sitcom che a un B-movie sui morti viventi, dall’altra questo approccio innovativo rappresenta una sfida molto ardua per il disegnatore Charlie Adlard, chiamato a dare plasticità e dinamicità a quella che in mai poco esperte correrebbe il rischio di diventare una noiosa sequela di primi piani. Così non è, perché Adlard inventa sempre nuove soluzioni e varia l’inquadratura come se avesse una videocamera in mano e non una fottuta matita.