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Works

Works

Tutto inizia quando l’adolescente Vitaliano ha bisogno di una bicicletta nuova: non può certo competere con i suoi coetanei se la sua bicicletta ha ancora la canna. È un modello da donna, non a caso è la bicicletta di sua sorella, è lenta, è pesante, non c’è gara. Ne va della sua dignità. Ce l’ha fatta, il padre si è convinto: parlerà con un suo amico e sicuramente troverà una soluzione. Su queste premesse, il giorno prestabilito esce col padre e inforca la strada a destra, quella verso il ciclista di fiducia, già prefigurandosi il modello che avrebbe scelto, quello che avrebbe lasciato ben indietro i suoi amici. Dopo pochi passi il padre lo richiama, perché ha sbagliato lato: doveva andare a sinistra. Ecco che si ritrova in un’officina, ma non è quella del ciclista, bensì quella dell’amico del padre, un fabbro che produce mangiatoie in metallo per animali. Cosa c’entra con la bici? C’entra, c’entra, perché a casa non ci sono i soldi per quei lussi, se vuole la bicicletta deve guadagnarsela col sudore della fronte, con la fatica del lavoro. Si fa così nell’operoso Nord-Est, dove la vera ricchezza degli uomini e delle donne è il loro lavoro, magari sfruttato o in nero, ma l’unica condizione dell’umanità. Un lavoro che spersonalizza. All’inizio dell’estate ha il libretto di lavoro, che però gli servirà soltanto per regolare eventuali infortuni, dal momento che comincia la sua avventura nel lavoro nero, quel lavoro fatto non solo di fatica, ma di assenza di diritti, ferie, permessi. L’alternativa è tornare a scuola, ma di fare il geometra proprio non ha voglia. Così cede alla tirannia del lavoro, di qualunque tipo, di qualunque forma, anche quello meno nobile del ladro e dello spacciatore, il più pericoloso forse. Perché la libertà e l’indipendenza passano dalle tasche dei pantaloni, da quanti soldi si hanno nel portafoglio. Ma gli piace così, o comunque deve farselo piacere…

Vitaliano Trevisan è stato uno scrittore tormentato, ma estremamente genuino e pragmatico nella sua vita, come nella prosa. Works è un’odissea, un viaggio autobiografico e tematico, nel mondo del lavoro, vissuto con estrema naturalezza e quasi come una condanna: “Perché trovo sempre un lavoro?, mi dicevo, perché non mi lasciano andare alla deriva in pace? Diventare un barbone. Una delle possibilità che contemplavo. Che contemplo tuttora. Poi non ho il coraggio”. Il racconto, riedito dopo la tragica scomparsa dell’autore morto suicida nella sua casa di Crespadoro, nelle natìe terre vicentine dove è ambientata tutto il suo romanzo che poi è la sua vita, ripercorre senza giudizi o moralismi la storia di un adolescente che diventa uomo soltanto dopo essere stato forgiato dal lavoro: si susseguono amicizie, scorribande e varie vicissitudini di una periferia anni ’70 che prima ancora di essere geografica è umana. È una mappa cronologica, mentale, emozionale di tante storie che mette insieme e commenta (preziosissimo ed interessantissimo l’apparato paratestuale delle note di pugno dello stesso autore) per spiegare come sia arrivato nelle terre del lavoro, della droga, delle amicizie sbagliate, sullo sfondo di una famiglia presente, ma assente al tempo stesso, e soprattutto spersonalizzata al punto che le emozioni sono assorbite dalle stesse azioni. Una lettura scarna ed essenziale che per questo apre le porte ad un intero universo di riflessioni dette e non dette che non possono lasciare il lettore indifferente. Ripubblicato non a caso nel 2022, per onorarne la sua scomparsa, ma anche per metterlo in significativa continuità con altri capolavori umani e psicologici come l’Ulisse di Joyce o l’ultimo capitolo delle Recherches di Proust, comparse cento anni prima e fatte – involontariamente - rivivere in queste pagine di tragica umanità.