
Per Zabor scrivere non è solo un gesto, la danza della mano sulla carta, ma qualcosa di più. Scrivere è l’unico strumento di salvezza, l’unico modo efficace contro la morte. Nella Storia gli uomini hanno, infatti, provato a sconfiggere questo ineliminabile momento conclusivo dell’esistenza con la preghiera, le medicine, la magia, i versetti ripetuti a litania dei testi sacri, l’immobilità ma senza riuscire nell’intento. Solo Zabor c’è riuscito mediante la scrittura. Scrivendo, il ragazzo può tenere in vita le persone. Però occorre che lo faccia continuamente, senza sosta e fino allo sfinimento. Uniche pause concesse sono quelle per i pasti e per i bisogni corporali, nonché quelle dedicate a grattare la schiena di sua zia. Zabor dovrebbe scrivere ininterrottamente, senza alzare mai la testa, il capo chino sul foglio, tutto votato a una concentrazione da martire. Sulle sue spalle pesano, infatti, innumerevoli vite. Vecchi e bambini sono legati alla velocità della sua scrittura, allo stridere della calligrafia sulla carta e alla ricerca spasmodica delle parole esatte, delle sfumature, dei significati e dei sinonimi. Zabor riempie di parole quaderni su quaderni con carta bianca, senza righe, che compra in grande quantità in base al numero di persone che incontra o che, essendo già malate, deve salvare. Riempie dai due ai dieci quaderni al giorno e una volta ha addirittura comprato settantotto quaderni in un colpo solo. Per Zabor guardare una persona significa doversi fare carico di essa, della sua salute, del suo desiderio di vita, una responsabilità che lo scava nel profondo e lo logora…
Zabor o I salmi è l’intenso e allegorico romanzo di Kamel Daoud che mette in scena uno dei più riusciti elogi della forza salvifica della parola. Esso racconta una storia che si dipana nell’arco di tre giorni, durante i quali il lettore si trova ad affrontare l’agonia di Brahim, padre di Zabor, che ormai vecchio e ammalato è in punto di morte, una morte che il figlio prova ad allontanare il più possibile pur barcamenandosi in un’ambiguità circa il suo reale e recondito volere. Ma è anche la storia della scoperta di un dono particolarissimo, di cosa voglia dire avere letteralmente tra le propri mani la vita altrui e, in senso traslato, la celebrazione metaforica della forza della scrittura, della parola come strumento di comunicazione, di memoria e di guarigione. Un romanzo complesso e articolato, ricco di richiami a testi sacri e alla cultura musulmana. Una fiaba dal sapore antico che ospita al suo interno tanti particolarissimi personaggi; che racconta temi importanti, non solo la scrittura e la morte, ma anche l’esclusione, la discriminazione, l’abbandono, i rapporti familiari. Un aggregato di bellezza che coinvolge il lettore e lo affascina.