
Nata in Francia, si è trasferita giovanissima a Ginevra, si è laureata in legge per poi spostarsi a New York e infine venire a vivere in Italia. Cugina dell’ex Primo Ministro francese Dominique de Villepin, è sposata con l’imprenditore Rodolfo De Benedetti. Nel 2006, alle soglie dei cinquant’anni (e che splendidi cinquant’anni), ha esordito come scrittrice.
Come ci si scopre scrittrici tutto ad un tratto?
In realtà non è una cosa che nasce dal nulla: io scrivo da sempre, ma ora che le mie bambine sono cresciute posso dedicarmi con maggiore tranquillità a questa attività e farne un lavoro vero e proprio. Per questo mio debutto sono partita da qualcosa di molto vicino a me, mi sono ispirata alla storia della mia famiglia: una storia di lutti, non solo in senso letterale, ma anche per l’atmosfera di paura, gli incubi, l’oppressione del pericolo.
Quanto c'è della vostra storia familiare in Tempo di fuga?
Ho voluto soprattutto rendere omaggio al nonno, che ora non c’è più ma ha vissuto una storia molto simile a quella del romanzo. I riferimenti storici li ho “rubati” al passato della mia famiglia, ai racconti. Non tanto per raccontare storie vissute dai miei familiari, quanto per essere sicura della plausibilità di quanto andavo raccontando.
L’odissea dei profughi nel suo romanzo tocca davvero il cuore: quanto hanno pesato le ambiguità di alcuni Paesi europei, ad esempio la Svizzera?
L’ambiguità della Svizzera esisteva più che altro a livello federale, i cantoni in realtà erano più ben disposti verso i profughi, forse perché in scala più piccola c’è stato un contatto più diretto con la disperazione, con la paura.
Si può dire che il vero protagonista del suo romanzo sia l’uovo di Fabergé che passa di mano in mano attraverso il tempo. È una scelta casuale?
Non è certo un caso che il gioiello del romanzo sia un uovo. È un’allegoria della memoria, soprattutto della memoria storica. Il simbolo dell’esigenza di non dimenticare tanti orrori.
I LIBRI DI EMMANUELLE DE VILLEPIN