
Sedar è figlio di un console senegalese e vive in Italia da alcuni anni, frequenta la scuola media e deve ammettere che la sua vita nel nostro paese è di qualità superiore rispetto a quella di altri immigrati: casa signorile, una tata – la stessa che era di suo padre – e un’integrazione a scuola eccellente: Max è il suo compagno di banco italiano e Amina, una bambina somala, la sua migliore amica. Un giorno Angelica, la ragazza più carina della scuola, decide di invitarsi a casa di Sedar che sì, la ritiene tanto carina, ma anche tanto stupida. Giornata sfortunata per i piani della ragazzina: mentre i due stanno salendo i piani della palazzina dove vive Sedar con un ascensore di vetro, lui si accorge che due tipi di colore stanno uscendo dalla porta di corsa con fare assai sospetto. Strana quella presenza, non ci sono altre persone di colore in quella palazzina. Appena Sedar si trova di fronte la porta di casa intuisce che qualcosa non va: la porta aperta, la serratura non c’è più e Oumy, la tata, non risponde. Sedar pensa a suo padre: sta indagando su un traffico di sostanze illecite e sta acquisendo della documentazione importante su una nave che deve partire da La Spezia. Il suo studio è infatti la stanza messa di soqquadro. Il console è stato aggredito la stessa mattina mentre doveva consegnare quei documenti segreti alla Procura della Repubblica che gli sono stati sottratti. A Sedar non serve molto per capire che l’aggressione e il furto in casa sono collegati tra loro e a doppio filo al lavoro del padre che adesso non ha più uno straccio di prova da portare alla Procura e dovrà ricominciare daccapo. Sedar non ha nessuna intenzione di lasciare suo padre da solo. È ancora vivo il ricordo di quando due anni prima a Dakar, sulla spiaggia gialla, lui e i suoi amici si erano avvicinati ad una nave dei veleni e avevano rischiato grosso. Con l’aiuto di Amina e Max comincia ad indagare e parte da Assane, un piccolo senegalese che vende i giornali in un parcheggio e che sa i nomi di coloro che sono entrati in casa sua: Baba e la Volpe, due pesci piccoli di un sistema molto più grande, si capisce. La madre di Assane, la sorella e il fratellino sono morti anni prima proprio perché ogni giorno cercavano materiali rivendibili nelle discariche di rifiuti tossici di Dakar. All’inizio reticente per paura di finire nei guai, Assane indirizza Sedar sulla strada giusta, una strada tutta in salita, un’ avventura che mette alla prova l’onestà, l’amicizia e il coraggio.
La nave dei veleni è un libro che ogni biblioteca delle scuole medie inferiori dovrebbe avere per introdurre tra i ragazzi un tema ambientale assai spinoso e difficilmente spiegabile in altro modo. Temi imbarazzanti che spesso molti di noi ignorano o preferiscono ignorare: i rifiuti tossici che viaggiano per mare, le scorie radioattive, centinaia di persone (in Africa come in America Latina) morte per essere venute a contatto con il piombo, il mercurio, il cadmio. Un tema che coinvolge in pieno anche l’Italia. Nel romanzo di Ave Gagliardi c’è una storia raccontata da un adolescente in prima persona, una storia che non può passare inosservata: in primo luogo perché la narrazione è gradevole e per niente appesantita dalla tematica importante e in secondo luogo perché evidenzia come il forte senso di giustizia sia presente soprattutto in chi è più piccolo (e spesso indifeso). Una storia che può smuovere un po’ le coscienze assopite di molti preadolescenti del 2011. Una questione, questa dei rifiuti tossici, per la quale sia il WWF sia Legambiente si battono da quasi 20 anni: era il 1995 quando il WWF chiese con un atto ufficiale lo smantellamento della prima rete che gestiva rifiuti tossici via mare; negli stessi anni Legambiente denunciò un traffico di rifiuti tossici che dall’Europa del Nord arrivavano in alcune zone dell’Aspromonte, fatti di cui Nuccio Barillà, il direttore generale dell’associazione, ci racconta nella Postfazione. E poi il dossier congiunto dal titolo “Le navi dei veleni, cronistoria di un intrigo internazionale” e la nota Operazione Trasparenza che circa due anni fa ha portato i suoi frutti. Ma la speranza, di Legambiente, del WWF e di tutte le persone con una coscienza è quella che non cali mai l’attenzione da parte delle istituzioni e dei governi per non ripetere gli stessi e(o)rrori.
La nave dei veleni è un libro che ogni biblioteca delle scuole medie inferiori dovrebbe avere per introdurre tra i ragazzi un tema ambientale assai spinoso e difficilmente spiegabile in altro modo. Temi imbarazzanti che spesso molti di noi ignorano o preferiscono ignorare: i rifiuti tossici che viaggiano per mare, le scorie radioattive, centinaia di persone (in Africa come in America Latina) morte per essere venute a contatto con il piombo, il mercurio, il cadmio. Un tema che coinvolge in pieno anche l’Italia. Nel romanzo di Ave Gagliardi c’è una storia raccontata da un adolescente in prima persona, una storia che non può passare inosservata: in primo luogo perché la narrazione è gradevole e per niente appesantita dalla tematica importante e in secondo luogo perché evidenzia come il forte senso di giustizia sia presente soprattutto in chi è più piccolo (e spesso indifeso). Una storia che può smuovere un po’ le coscienze assopite di molti preadolescenti del 2011. Una questione, questa dei rifiuti tossici, per la quale sia il WWF sia Legambiente si battono da quasi 20 anni: era il 1995 quando il WWF chiese con un atto ufficiale lo smantellamento della prima rete che gestiva rifiuti tossici via mare; negli stessi anni Legambiente denunciò un traffico di rifiuti tossici che dall’Europa del Nord arrivavano in alcune zone dell’Aspromonte, fatti di cui Nuccio Barillà, il direttore generale dell’associazione, ci racconta nella Postfazione. E poi il dossier congiunto dal titolo “Le navi dei veleni, cronistoria di un intrigo internazionale” e la nota Operazione Trasparenza che circa due anni fa ha portato i suoi frutti. Ma la speranza, di Legambiente, del WWF e di tutte le persone con una coscienza è quella che non cali mai l’attenzione da parte delle istituzioni e dei governi per non ripetere gli stessi e(o)rrori.