
Statale 106 jonica, provincia di Reggio Calabria. Una notte d’estate due rumeni sfondano la vetrina di un bar annesso ad un distributore di carburante al fine di impadronirsi del danaro esistente nelle macchinette del videopoker che si trovano all’interno del locale. Il proprietario del distributore, Giovanni Romeo, dopo aver verificato i danni decide di non denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine ma di andare da un amico per farsi dare una mano. Nel pomeriggio arrivano al distributore un gruppo di operai che lavorando alacremente riparano la vetrina rotta. Si tratta di due veri professionisti, che non si perdono in chiacchiere e dopo aver bevuto il caffè offerto da Romeo portano a termine il lavoro. Grazie alla loro solerzia, prima di sera è tutto riparato. Giovanni Romeo chiede quanto c’è da pagare ma gli operai rispondono che sono stati mandati direttamente da Don Vincenzo e che quindi non c’è niente da sborsare, neppure un centesimo. Romeo ringrazia e per il tramite degli operai invia un caloroso saluto a colui che lo ha aiutato. Si tratta di Don Vincenzo Macrì, uomo che incarna tutti gli stereotipi del malavitoso di vecchio stampo. È sulla settantina, sta spesso col sigaro in bocca, utilizza un bastone per reggersi. Per farla breve, si tratta di un vero boss. Quella sera stessa, dopo aver cenato assieme al cognato Don Vincenzo, chiama il suo picciotto Nino Longo detto “faccia tagliata” e lo invia da un certo Cosimo Bevilacqua per intimorirlo riguardo la vicenda del distributore. Nino Longo dopo qualche giorno va al deposito di mezzi rubati gestito dagli zingari e proferisce all’indirizzo di Cosimo Bevilacqua le seguenti parole: “Ti manda i saluti Don Vincenzo e ti raccomanda di lasciare stare il distributore di Giovannino Romeo, hai capito?”…
Questo Terra Nostra descrive con dovizia di particolari le dinamiche criminali esistenti all’interno di talune famiglie calabresi appartenenti alla ndrangheta o collaterali all’organizzazione mafiosa. L’intera narrazione, ricca di coloriture localistiche, di rappresentazioni gestuali tipiche di soggetti subalterni alla logica mafiosa e di richiami al gergo malavitoso calabrese si snoda attorno a figure umane prive di scrupoli, desiderose di dominare l’intero territorio in provincia di Reggio Calabria attraversato dalla statale 106 jonica. I luoghi di incomparabile bellezza paesaggistica che si affacciano sullo stretto di Messina e che rappresentano l’estrema propaggine del continente europeo, nel romanzo fanno da sfondo a vicende truci e ad azioni violente rispetto alle quali non vengono posti antagonisti in grado di arginare il male o quantomeno ad elaborarlo in direzioni coerenti secondo un rapporto di causa – effetto. I personaggi descritti sono rigidi e privi di sfaccettature psicologiche, si muovono come degli automi in un’unica direzione: quella del controllo ossessivo e spasmodico del territorio secondo una perversa logica meccanicistica che non sempre viene giustificata dai fatti narrati. Si tratta di un romanzo noir descrittivo di una società totalmente asservita alla criminalità immersa in un’atmosfera stereotipata e retriva, totalmente impermeabile e opaca alle istanze della società civile.