
La vita del piccolo Ninni si divide tra la provincia lombarda e quella emiliana. Da metà ottobre a fine maggio a Zanegrate, il paese natale del babbo, da fine maggio a metà ottobre e il periodo natalizio a Querciano, le vacanze insomma, con la nonna materna. Due mondi diversi, due modi diversi di concepire i rapporti sociali, la religione. Se infatti “a Zanegrate di politica non si parlava mai, non se ne trovavano segni visibili, semplicemente non c’era” e “tutti senza eccezione andavano in chiesa e ubbidivano – o perlomeno sembrava che ubbidissero – ai preti, che erano moltissimi”, invece “a Querciano l’opposto, ogni cosa era o bianca o rossa, senza vie di mezzo. Questo perché, essendo collina, si trovava a cavallo tra la pianura, la Bassa, completamente rosse e la montagna, completamente bianca”. Frequenta le scuole elementari a Zanegrate, Ninni, dove i figli degli industriali stanno in prima fila mentre “quelli che hanno la refezione”, cioè che non rientrano a mangiare a casa, perché da mangiare a casa non ne hanno, in fondo, nel quinto e sesto banco. Il primo giorno la mamma gli stringe forte la mano e cerca invano di parlare con le insegnanti. Vuole a tutti i costi avvertirle di una cosa importante: Ninni tartaglia. “Era come se inciampasse e poi inciampasse ancora. Sempre contro la stessa sillaba, sempre contro lo stesso sasso. Oppure era come se ci fosse un gradino e lui non riuscisse a farlo”. Un tasto dolente in famiglia. Il padre, ogni volta che lo sente, si irrita, cosa che fa arrancare ancor di più il bambino. “‘Adesso basta! Adesso la pianti’. Lui, a quel punto terrorizzato, si strozzava dentro le sue ch ch. Poi non riusciva più a emettere alcun suono, boccheggiava muto, come un pesce buttato sulla spiaggia”. Ninni sta per fare la terza elementare quando il padre trova un nuovo impiego, migliore di quello nell’azienda tessile in cui aveva lavorato finora, a Milano. La mamma, nel frattempo, aveva cominciato a non poterne più di stare a Zanegrate, sognava una casa più moderna. Così, la famiglia si trasferisce nel capoluogo lombardo…
Ragazzo italiano è il primo romanzo di Gian Arturo Ferrari. Non un esordio se consideriamo il suo saggio Libro, uscito nel 2014 per i tipi di Bollati e Boringhieri, ma comunque la sua prima prova narrativa. Parliamo di una figura che ha segnato il panorama editoriale degli ultimi anni. Editor della Saggistica Mondadori nel 1984, direttore dei Libri Rizzoli nel 1986, rientrato in Mondadori nel 1988, ha condotto in parallelo la carriera universitaria come docente di Storia del pensiero scientifico all’Università di Pavia, che ha deciso di abbandonare nel 1989 per dedicarsi in toto all’editoria. Questa sua opera mescola narrativa e autobiografismo perché nel personaggio del piccolo Ninni traspare molto anche del suo creatore. “Il mio scopo era raccontare sì la storia, ma soprattutto il sapore di una generazione, compressa tra quella che l’ha preceduta, quella della guerra, e quella che l’ha seguita, quella del benessere. – spiega Ferrari, intervistato da RaiCultura - È uno svolgimento del titolo: c’è il ragazzo, ossia la vicenda individuale, e c’è l’italiano, ossia la grande scena collettiva. Per raccontarla ho attinto in ugual misura alla mia vicenda personale, alla storia di quel periodo e alla fantasia”. Seguiamo Ninni dall’infanzia fino agli anni del liceo. Un bambino che balbetta, i cui rapporti col padre saranno sempre complicati come invece intensi e forti lo sono quelli con le figure femminili della sua famiglia, mamma e nonna. Lo seguiamo in un’Italia che sta crescendo, cambiando, scrollandosi di dosso le macerie della guerra e affrontando nuove sfide con fiducia e bramosia. Nei due paesini dai nomi immaginari in cui trascorre l’infanzia contempliamo un affresco della provincia italiana dell’epoca, quella casa, campi e fabbriche e quella invece dove la politica si respira nelle strade, nei quartieri, perfino sui muri delle case. E poi c’è Milano in cui, come dice la sua mamma, “veniva tantissima gente alla ricerca di una vita migliore”, quella grande città di cui loro all’inizio, vedono solo un pezzettino, “una fettina”, “quello spicchio che comprendeva, all’incirca, i posti dove si poteva arrivare a piedi, c’era tutto quello che serviva” e di cui poi Ninni finisce per innamorarsi. È un’Italia in cui si soffre e si lavora, in cui la sperequazione sociale è evidente perfino nei banchi di scuola. Ma è anche l’Italia in cui, rimboccandosi le maniche, si può cambiare drasticamente la propria condizione, come avviene al padre del protagonista, o dove la cultura e i libri sembrano diventare un lasciapassare per diventare persone migliori e superare le proprie insicurezze, come succede per Ninni. Un romanzo da leggere per scoprire, o riscoprire, attraverso una vicenda individuale una storia collettiva, quella dell’Italia. Per ricordarci che questo Paese, pur con tutte le sue contraddizioni, ha saputo alzare la testa e guardare al futuro.