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C’era una volta un cuore spezzato

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L’uscita sulla “Gazzetta ciarliera” della notizia sullo smarrimento del portale della chiesa del Principe di Cuori porta Evangeline Volpe a scivolare lungo gli angusti vicoli di Valenda per mettersi sulle tracce di questo oggetto sacro. Una volta che Evangeline giunge nel Distretto dei Templi la porta di accesso alla chiesa non può celarsi al suo sguardo poiché pur presentandosi come grezza, possiede la forma di un cuore spezzato, simbolo del Principe di Cuori. Questi è uno dei sedici Fati - per la maggior parte della gente non sono altro che miti e leggende ma per lei sono realtà, ci crede fermamente - ed Evangeline sa bene che entrare in contatto con loro potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, ma per il bene della sorella e trovandosi già con un cuore spezzato, Evangeline è pronta a correre il rischio di intraprendere una strada pericolosa…

Stephanie Garber torna con una nuova saga dopo la trilogia di Caraval, da cui qui riprende anche alcuni personaggi, dando vita a uno spin-off dalle premesse interessanti. Il romanzo si apre promettendo un ritmo veloce, semplice e lineare con capitoli brevi carichi di immagini davvero vivide, un plot in cui è facile orientarsi insieme alla protagonista e che ha quasi i contorni di una fiaba. Devo però dire che i personaggi sono piuttosto piatti, indistinguibili tra loro, nessuno spicca o presenta delle particolarità caratteriali rilevanti e la stessa protagonista per il modo in cui agisce fa fatica a entrare nel cuore del lettore. La trama inizialmente promettente diventa poi nella seconda metà del libro un guazzabuglio di fatti e azioni che non solo si allontanano dal campo della fiaba ma rendono anche la protagonista passiva di fronte agli eventi, è la necessità che accadano determinati fatti a mandare avanti la narrazione, non le scelte di Evangeline purtroppo. Anche il rapporto con la sorella è tracciato per sommi capi e non getta di certo una gran bella luce sulla nostra protagonista, ma anzi la arricchisce di una fitta rete di cliché.