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Il vento dell’odio

Il vento dell’odio

Una sera di luglio, in un ristorante di Roma a piazza Mattei, uno scrittore attende di cenare. Roma è deserta: la nazionale stasera gioca contro la Germania. Nella atmosfera già irreale di per sé, con i camerieri intenti a fissare la telecronaca in tv, succede qualcosa di ancora più incredibile: di fronte allo scrittore compaiono Giulia Moresco e Cristiano Costantini, una fiancheggiatrice l’altro ex-terrorista delle Brigate Rosse. Peccato che entrambi siano stati dati per morti in un incidente stradale il 21 aprile del 2005. Peccato anche che lo scrittore negli ultimi anni si sia interessato proprio a ricostruire la loro vicenda, per poi lasciar perdere tutto: troppi i lati oscuri delle loro vite. Ma la loro presenza quella sera era il segnale che la loro storia doveva essere raccontata. Giulia e Cristiano. Formazione diversa, un padre comunista lei, uno fascista per lui. Eppure entrambi, nella loro vita, si erano trovati a percorrere una strada comune, abbracciando l’utopia rivoluzionaria, la follia del terrorismo, seppure con esiti e modi differenti: Giulia si era limitata a sfiorare il movimento, Cristiano invece aveva agito, aveva ucciso, condannandosi alla latitanza e a un esilio forzato in Argentina. Molti anni dopo Giulia, donna ormai inquadrata in una vita borghese e normalizzata, affitta la casa romana di Cristiano, quella in cui, ricorda, si tenevano le riunioni segrete, si nascondevano armi, si ospitavano persone sconosciute anche solo per una notte. È durante i lavori di ristrutturazione della casa che in un tramezzo Giulia ritrova un manoscritto. Un manoscritto che riguarda molto da vicino Cristiano e che Giulia decide di fargli avere. Perché nulla era mai stato così come sembrava essere, e Cristiano doveva sapere...

Alla fine di questo romanzo, come in ogni tradizione letteraria che si rispetti, leggiamo che “qualunque nome o avvenimento raccontato che possa avere una corrispondenza con la realtà è del tutto casuale”. Eppure la tentazione è forte, di credere che qualcosa di molto simile possa essere accaduto durante gli anni del terrorismo italiano, perché si parla di Moro, di strategia della tensione, dei servizi segreti, di quella zona buia della storia d’Italia che ancora oggi nessuno si è dato briga di illuminare in ogni anfratto. Al di là di qualsiasi dannosa dietrologia, Cotroneo spartisce il suo spazio narrativo tra le “ragioni” di Cristiano e quelle di Giulia, fra i pensieri dell’uno e dell’altra, dedicando le pagine più intense non a loro, ma ai rispettivi padri, due figure che si muovono nell’ombra e che dall’ombra guidano le sorti dei loro figli. Una simbolica rappresentazione della responsabilità “paterna” e italiana delle azioni dei propri figli, un monito agli attuali padri, affinché le loro colpe non ricadano, inesorabili, sul loro futuro.