
Andrés Barba è una delle voci più interessanti della letteratura spagnola contemporanea. Già inserito dalla rivista “Granta” nel 2010 tra i più influenti scrittori spagnoli under 35, ha ricevuto diversi riconoscimenti importanti nel suo Paese come il Premio Torrente Ballester e il Premio Anagrama de Ensayo. Il suo ultimo romanzo era tra i finalisti del premio Von Rezzori, giunto alla sua tredicesima edizione. Per questo lo incontriamo a Firenze, città che ospita la kermesse, e poco prima della presentazione del suo romanzo riusciamo a fare con lui una breve chiacchierata. È l’occasione di scoprire com’è nato questo libro originale, ma anche per saperne di più sui suoi modelli di riferimento e i suoi gusti letterari, che guardano molto anche al nostro Paese.
Repubblica luminosa affronta il tema dell’infanzia in modo anticonformista, andando oltre gli stereotipi e raccontandone invece un lato più oscuro, crudele. A San Cristobal compaiono 32 bambini misteriosi, violenti, che parlano una lingua che capiscono solo loro. C’è un precedente illustre nella storia della letteratura che indaga questo aspetto più oscuro della gioventù, parla di un gruppo di ragazzi che nel maldestro tentativo di autogovernarsi finiscono preda di violenza e malvagità, mi riferisco a Il signore delle mosche di Golding….
In realtà Il signore delle mosche non è stato un modello per me, anzi lo ritengo l’antimodello assoluto: è una storia permeata da un’etica protestante molto marcata e poi con una morale troppo forte. L’opposto di quello che volevo creare io ovvero una favola realista senza una vera morale di fondo. Racconto di questi bambini strani, oscuri. Ma alla fine del romanzo non saprei dire chi è più oscuro se la comunità di san Cristobal o i bambini, forse alla fine lo sono più gli abitanti dei bambini. Il mio vero modello, piuttosto, è Joseph Conrad. Conrad situa nello stesso posto due persone, di fatto una civilizzata e una selvaggia. Nella sua struttura narrativa a un certo punto accade qualcosa di imprevisto, brutale e violento e alla fine i ruoli si capovolgono e è il più civilizzato a comportarsi da selvaggio e il selvaggio a diventare quello civile. Arrivato in fondo, la domanda è quella che volevo suscitare io con questo libro, chi è veramente civile e civilizzato allora?
L’arrivo dei 32 bambini a San Cristobal è raccontato attraverso una ricostruzione attenta e precisa, quasi giornalistica. Leggo la tua biografia e scopro che sei un traduttore, che hai scritto romanzi ma anche racconti e saggistica. Da cosa deriva questa tua inclinazione al reportage e quanto influenza la tua scrittura la tua attività di traduttore?
Ho scelto lo stile della cronaca cercando però di includere discorsi narrativi di diversa natura. Il mio obiettivo era approdare alla costruzione di una verità consapevole e consensuale, raccontando un fatto di cui non si conosce bene l’origine e che genera caos e confusione nella comunità. Perché l’inclusione di tutte le prospettive, di tutti i modi di guardare a un accadimento è l’unica strada verso la verità. C’è un filosofo tedesco che mi piace molto, Jürgen Habermas, che dopo la seconda guerra mondiale pubblicò un saggio a mio avviso perturbante, La verità come consenso. Habermas partiva dall’assunto che dopo un fatto così violento come la guerra appena conclusa era impossibile usare il concetto di verità così come lo abbiamo conosciuto, in senso aristotelico. Introduceva il concetto di consenso per quanto riguarda la ricerca della verità, una verità quindi non più rigida ma elastica, includente, fluida e in costante movimento. C’è bisogno quindi di una struttura narrativa che permetta di ascoltare ogni voce per arrivare a quanto di più vicino a questa idea di verità, l’idea che corrisponde anche al mio ideale di scrittura. Per raggiungere questo obiettivo mi è sembrato bello far raccontare la vicenda dei bambini a un cronista vent’anni dopo: la sua visione dei fatti racchiude tutti i punti di vista che hanno visto, riflettuto e meditato su quanto è successo.
Alla fine uno si chiede quale sia insomma questa fantomatica verità. Chi è davvero pericoloso, chi è davvero normale… C’è quasi un eco pirandelliano in questa storia?
Che i ragazzi siano strani e pericolosi non è un dato reale ma è dato dalla percezione che ne ha la cittadinanza alla fine. Sono gli abitanti di San Cristobal che li vedono come una minaccia, è così quindi che diventano una minaccia più grande di ciò che sono in realtà…
Il tema del distacco dalla realtà percepita e da quella effettivamente vissuta è molto attuale. Al giorno d’oggi paure, sensazioni vengono cavalcate soprattutto dalla politica anche calcando la mano o alterando la visione delle cose…
La paura è un’energia fortissima. Sono stato in Santa Croce poco fa, ho visto la tomba di Machiavelli: lui stesso parlava della paura come di un’energia sociale e politica, uno strumento potentissimo che viene utilizzato sia da destra che da sinistra.
Credo che le novità più interessanti ora vengano più dal Sudamerica che dalla Spagna. In Argentina o Messico ci sono tante voci nuove di grande spessore. Ho vissuto in Italia dieci anni fa, a Roma, ho imparato la lingua leggendo i classici del ventesimo secolo. Adoro Natalia Ginzburg, Alberto Moravia. Con Moravia mi pare però che in Italia il rapporto si sia un po’ perso. È un autore particolare, a momenti sembra modernissimo altre volte più datato, quasi ottocentesco. Trovo alcuni suoi libri dei veri capolavori, La noia ad esempio è spettacolare. Poco tempo fa ho riletto Cesare Pavese, altro scrittore straordinario. Un altro nome che mi piace tantissimo è Lalla Romano: ne Le parole tra noi leggere parla del rapporto madre-figlio con intensità e sincerità, un tema in cui spesso è facile cadere nella retorica e nei luoghi comuni. Ora sto leggendo Una giovinezza inventata, quel libro è musica…