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La voce del geco

La voce del geco

Sul tetto di un condominio di Lavagna, da dove si vede il sole quando si tuffa nel mare e il cui profumo arriva in tutta la sua dolce fragranza, vive Giusto, quasi trent’anni ormai, cresciuto lì fin da quando di anni ne aveva più o meno dodici. La mamma era andata via, non sopportava più la vita del circo, perché il padre di Giusto era un funambolo e diceva sempre: “Voglio guadagnare soldi inseguendo i miei sogni, non voglio fare soldi inseguendo i soldi”. Non era dalla fune sospesa, però, che suo padre cadde e morì, ma – ironia della sorte – da una rampa di scale del palazzo di Giustizia dove era andato a formalizzare il divorzio. Giusto allora era rimasto solo, poteva essere adottato o finire in collegio. Aveva scelto di seguire anche lui il suo sogno: appassionato di animali e interessato alle loro voci, giurò di riuscire prima o poi ad ascoltare la voce del geco. Così, dopo il funerale di suo padre, era salito sul tetto terrazzato di quel condominio, dove era certo che tra i coppi riscaldati dal sole lucertole e gechi ce n’erano sicuramente tanti; prima o poi avrebbe sentito quella voce. Aveva cominciato a guadagnare qualcosina facendo piccoli lavoretti, come sistemare le antenne o i coppi sconnessi. Di lui presto avevano cominciato a prendersi cura gli abitanti del palazzo dopo che l’Esimio, il Professor Adelmo Chiappe che viveva con la sorella ottantenne, aveva convocato una assemblea e aveva raccontato a tutti del ragazzino che viveva sul tetto da due mesi. Nessuno se l’era sentita di avvisare i servizi sociali e così Bartola – burrosa lucana che era andata via dal paesello molto giovane perché si era innamorata della persona sbagliata –, la badante della vecchia signora Mira, aveva cominciato a portargli su i suoi deliziosi manicaretti; il professor Chiappe si era preso cura della sua istruzione e gli forniva libri da leggere e studiare; Rosario, invece, era stato un promettente ciclista e avrebbe potuto vincere il Giro d’Italia, ma un bel giorno le gambe si erano bloccate e adesso faceva il barbone e beveva, l’Esimio gli aveva dato una mano e se lo era portato con gli altri condomini sulla terrazza, dove aiutava Giusto con le faccende pratiche e di manovalanza. E poi c’era don Livio, il giovane parroco, e anche altri, e tutti loro adesso sono come una famiglia e le loro cene sul tetto sono sempre bellissime. Poi un giorno è arrivata Raimonda e tutto è cambiato. Per la prima volta, e dopo così tanti anni, Giusto ha pensato di poter scendere dai tetti, ma…

Dopo alcun romanzi dalle sfumature gialle, il giornalista, blogger e scrittore Aldo Boraschi – originario della provincia di Parma ma residente a Lavagna – pare finalmente aver deciso di fare un salto di qualità. Questo romanzo delicato dalle sfumature surreali e qualche leggiadra pennellata poetica è la storia di un piccolo mondo fuori dal mondo dove un bambino ha deciso di rifugiarsi e crescere. Il desiderio di vivere in una specie di isola lontana è già una aspirazione tanto diffusamente condivisa quanto impossibile e quindi si porta dietro una suggestione che subito conquista il lettore, al quale sembrerà un po’ di riconoscere nel giovane Giusto che per vent’anni non scende dai tetti il Cosimo Piovasco di Rondò di Italo Calvino che alla stessa età (e anche lui in Liguria) decide di vivere sugli alberi: c’è davvero da considerarlo un omaggio a Il barone rampante, pare anzi quasi scontato. Ma quello che colpisce anche di più è la piccola compagnia scombinata di improbabili amici/condomini, uno scorcio di umanità ai margini della società e del reale che si ritrova attorno al ragazzo e diventa punto di riferimento non soltanto per lui, ma reciproco per ognuno di loro. Alla fine diventa una bella storia di amore e rinascita. Finisce bene? Finisce male? Dipende dai punti di vista. Ma questa piccola favola, moderna e classica ad un tempo, che parla di libertà, di fuga, di amore non lascia amarezza ma piuttosto un dolce sorriso di affettuosa simpatia. L’importante è che alla fine Giusto sia riuscito a realizzare il suo sogno, ascoltare la voce del geco, eccezione nel mondo dei rettili come unico caso di suono modulato invece che sibilo. Belle anche le descrizioni del mare di Lavagna che fa capolino spesso fin sui tetti della città. Ha detto Boraschi che scrivere questo libro è stato molto diverso, perché scrivere un romanzo “Ti mette di più in piazza, Ti espone”. Forse è questa la cifra vera della sua scrittura e chissà cos’altro di interessante potrebbe venirne fuori in futuro.