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Il dio che danza

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La ricerca inizia in una delle tante estati dell’infanzia, quando ancora inconsapevole di tutto e desideroso di scoprire il mondo, si rintanava in un seminterrato fresco e nel silenzio di quei momenti riusciva a “cartografare” terre e mari immaginari, a creare e godere di mondi nuovi e imperscrutabili. Era cominciato tutto in Puglia, nella sua Puglia, quando nel 1959 Ernesto De Martino, storico, insieme a Giovanni Jervis, psichiatra, Diego Carpitella, musicologo, e Amalia Signorelli, musicologa, approdano nel Salento per andare alle origini della taranta e conoscere da vicino i suoi adepti, i tarantati, quelli che ballano per curarsi. Si avvicinano alla storia di Maria, orfana, che da bambina è morsa da un ragno ed è costretta da san Paolo a rifiutare tutte le offerte di matrimonio, per continuare a dedicarsi a quel ballo mistico. Si scuote spiritata, fino a cadere per terra esausta, fino a sentire la voce del santo. Così, ogni anno, così ogni volta. Anni dopo, oramai adulto, quelle immaginazioni di bambino, quei viaggi fra i fogli di un libro, quelle storie senza risposte razioni di terre e popoli sconosciuti, sono diventati realtà da raccontare, esperienze da vivere, capire, tramandare…

Il dio che danza è la raccolta di diverse narrazioni, che non sono soltanto fisiche, ma profondamente spirituali: un viaggio fatto di corpi, ma prima ancora di emozioni e suggestioni, mistero e realtà. Paolo Pecere, docente di Storia della filosofia all’Università Roma Tre, raccoglie in un unico volume l’insieme di esperienze profonde che hanno segnato, fin da bambino, la sua formazione umana e umanistica: partendo dalla taranta della sua terra natìa e da Dioniso, il dio mediterraneo per eccellenza che scioglie e libera da ogni inibizione, sprigionando energia e gioia smodata; ripercorrendo le vicende del dio Shiva che è un altro dio che danza, in India, e danzando, appunto, permette di assumere uno stato transitoriamente divino a chiunque, anche agli appartenenti alle caste inferiori. Il tutto in una profonda gioia. La ricerca della divinità che danza, e danzando dà gioia e forza, disegna i contorni di una geografia che ci porta dalle terre più vergini, dal Brasile all’India, dall’Africa al Sudamerica, fino a vicini microcosmi metropolitani. Cambia nomi, a volte cambia forme, ma la divinità continua a manifestarsi sempre in tutto il suo splendore. Nella danza rituale scopriamo uno strumento degli oppressi, degli esclusi e delle escluse dall’ordine sociale, poveri, fuoricasta, che non vogliono fare altro che esprimersi e realizzarsi nella danza. È un’esplorazione delle identità che la vita nasconde, la moltiplicazione delle possibilità. Il saggio di Pecere, scritto in modo anche informale, ma ricchissimo nella bibliografia e rigoroso da un punto di vista scientifico, permette di prendere in considerazione aspetti umani che spesso diamo per scontati o per impliciti. È indubbiamente un viaggio che merita di essere fatto, senza appesantirlo con inutili ansie o aspettative, ma lasciandosi trasportare dalla spontaneità della musica e della propria essenza più tribale e remota.