
Il Vicolo Cannery a Monterey in California è un immondezzaio e un poema, un canale di scolo e una festa, la tana di un topotalpa e la casa di un uomo di scienza, una pozzanghera e un mare. Brulica di vita in tutte le ore del giorno, e ogni suo abitante è un miscuglio di disgrazie e nobiltà d’animo. C’è, ad esempio, Lee Chong, di origini cinesi, con il suo negozietto in cui puoi trovare davvero di tutto: non si capisce da dove tiri fuori quella merce, considerando le ristrette dimensioni del locale. E poi ci sono Mack e i suoi compagni, che vivono in un magazzino teoricamente appartenente allo stesso Lee Chong, e sono sempre impegnati in mille mezzucci aventi lo scopo più di far passare la giornata che di mettersi qualcosa sotto ai denti. E c’è il ragazzo il cui padre si è suicidato con il veleno per topi perché non riusciva a trovare lavoro (ironia della sorte: proprio il giorno dopo, a cadavere ancora fresco, si era presentato un tipo con una proposta di lavoro). E c’è appunto il topotalpa alla ricerca di una compagna: si è scavato una tana perfetta sotto a un masso, e ogni giorno cerca di chiamare una propria simile con un verso che gli umani non possono udire. Ma soprattutto c’è il Dottore, rispettato da tutti, sempre impegnato nelle sue strambe ricerche su rane e gatti e ottopodi. E proprio per lui, la curiosa massa umana di Vicolo Cannery sta pensando di organizzare una festa di compleanno…
Steinbeck ricevette il Premio Nobel nel 1962, ma già vent’anni prima, con questo e con tutti gli altri romanzi divenuti ormai dei classici, si era guadagnato il suo giusto posto nel pantheon della letteratura d’ogni tempo. E infatti, come solo i grandi sanno fare, in questo libro non vi sono chissà quali contorsioni filosofiche o artistiche, bensì tutto è semplice e dolce, seppure immenso. Sarebbe complesso spiegarne anche la trama perché, come la vita stessa, questo romanzo non ha una trama definita. O meglio: la trama e il protagonista coincidono: sono il “Vicolo Cannery” stesso. A ogni capitolo scopriamo infatti una sfaccettatura di questo microcosmo, un suo personaggio, un suo lato, un suo sentimento. Si crea così una sinfonia di vicende, una folla di voci che fa immedesimare il lettore in quel mondo lì, senza eccessi stilistici. Ogni vicenda è allo stesso tempo drammatica e dolcissima, e mostra uno spaccato di quella che fu l’America povera tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento. Tra tutti i personaggi, però, risalta senz’ombra di dubbio il Dottore: un uomo di cultura e di scienza disperso in un sobborgo, eppure pienamente parte delle storie che vi brulicano. Come noto, questo personaggio era in realtà ispirato a Ed Ricketts (a cui il romanzo infatti è dedicato), caro amico di Steinbeck ed esperto davvero di biologia: e nel leggere il libro s’avverte ad ogni riga, in effetti, il sentimento che legava i due.