
Kasımpaşa, il quartiere di Istanbul in cui nel 1954 è nato Recep Tayyip Erdoğan, puzza di kerosene e vernici di vetroresina per barche. Anche suo padre, probabilmente, odora di carburante quando la sera torna a casa dopo aver fatto la spola da una sponda all’altra del Bosforo, guidando uno dei tanti iconici vapur della città. Ma soprattutto, quel quartiere guarda dal basso verso l’alto i quartieri dei “turchi bianchi”, la classe ricca, laica, legata a doppio filo all’esercito e alla magistratura e che sin dalla fondazione della Turchia domina la vita sociale. Nelle strade della Kasımpaşa di Erdoğan si muovono seconde generazioni di migranti provenienti dall’Anatolia profonda. Si è abituati a regolare i conti con un misto di virilità e rispetto di un codice d’onore non scritto. Figurativamente, la scalata al potere di Erdoğan sembra risalire quella collina che dal suo quartiere conduce alla Istanbul della dolce vita, quella da cui quelli come lui, ligi a una morale islamica conservatrice, sono automaticamente esclusi. Grazie alla sua caratteristica principale, il pragmatismo, a una furbizia priva di scrupoli e a un’ambizione fomentata da un forte senso di rivalsa che non è solo personale ma, in qualche modo, di classe, nel trentennio che va dalla metà degli anni ’90 ai giorni nostri, Erdoğan risalirà a grandi falcate quella collina per trasformare radicalmente non solo la sua città, ma tutto il paese. Senza ombra di dubbio Erdoğan è la figura politica che ha trasformato la Turchia più di ogni altra (insieme al suo speculare precedessore, Mustafa Kemal Atatürk). Cavalcando l’onda del risentimento che per tutto il Novecento ha caratterizzato la Turchia popolare, rurale, conservatrice, Erdoğan ha saputo giocare con le contraddizioni del suo paese meglio di ogni altro, ponendovisi al centro e monopolizzando la scena…
Spinella ripercorre con grande chiarezza e capacità narrativa le tappe fondamentali dell’ascesa di questo mattatore politico, che nel bene e, forse, soprattutto nel male ha caratterizzato la storia di un paese. Da un’identità spiccatamente “popolare” di uno che proveniva dai quartieri più problematici della città, all’ascesa a sindaco. La carriera di Erdoğan passa dalla maturazione all’interno dell’Islam politico del suo mentore Erbakan, di cui però non farà difficoltà a sbarazzarsi quando la temperie politica imporrà lo sfoggio di una certa moderazione; dal carcere per un discorso incendiario in cui agitava minareti e cupole come baionette e scudi militari, fino alle migliaia di processi da lui stesso intentati ai suoi detrattori e sbeffeggiatori; da un rinnovato orgoglio per la storia turca-ottomana, fino ad arrivare alle disinibite relazioni internazionali, con Putin e soprattutto Berlusconi, testimoni di nozze del figlio di Erdoğan. Dal racconto di Spinella, corrispondente dell’ANSA dalla Turchia, emerge in special modo il grande pragmatismo politico di Recep Tayyip: la capacità di manipolare diversi attori politici per farli convergere verso i suoi obiettivi, per poi radicalmente cambiare direzione e stringere alleanze con i suoi nemici acerrimi. Così utilizzerà il negoziato d’accesso all’UE e il potere di mobilitazione del predicatore Fethullah Gülen per rimuovere i militari dai gangli centrali del potere, salvo poi far saltare i negoziati (peraltro molto freddi) con l’Europa e dal 2014 entrare in aperto scontro con i Gulenisti. Saprà garantire alcune aperture democratiche alla grande minoranza dei Curdi, con lo scopo di garantirsi una più ampia base elettorale, salvo poi nel 2015 far saltare il processo di pace e inaugurare una delle più cruente svolte repressive nei confronti dei Curdi stessi. Saprà stringere una solida alleanza in chiave nazionalista con un dei suoi più grandi detrattori, Develt Bahçeli, saprà liberarsi nel tempo di tutti i suoi più fidati e capaci collaboratori, forte di un consenso popolare generato dalla grande ascesa economica – garantita anche dai prestiti del FMI il cui referente era allora Carlo Cottarelli. Saprà indubbiamente garantire enormi spazi al capitale privato, reprimendo duramente i movimenti della società civile, come nel caso delle proteste di Gezi Park nel 2013. Saprà ripetutamente ricattare l’Europa con la strumentalizzazione dei flussi migratori. Saprà, infine resistere al colpo di Stato del 2016, trasformandolo nell’occasione “inviatagli da Dio” per far piazza pulita di ogni forma di opposizione. Insomma, siamo davanti a un abile e pragmatico negoziatore che nel frattempo è riuscito a impostare per la Turchia una narrativa nazionale radicalmente diversa dalla precedente, che era fatta di laicismo e stretta aderenza al blocco occidentale. Erdoğan ha reso la Turchia uno degli alleati più irrequieti della NATO, giocando in maniera spregiudicata le partite geopolitiche della Siria, della Libia, dell’Armenia e del Mediterraneo orientale. Tutte le grandi ascese, però, prevedono repentini e spesso dolorosi tramonti. La Turchia è oggi stretta da una crisi monetaria senza precedenti, con un’economia stagnante e una posizione geopolitica ambigua. Saprà il nuovo sultano giocare le sue carte anche in questa complicata stagione? Spetta alla storia scrivere il finale. Senza dubbio, questo di Spinella è uno strumento straordinariamente informato e ben argomentato per capire la storia della Turchia degli ultimi trent’anni e con essa una delle personalità più controverse e sinistramente interessanti della scena politica internazionale dei primi due decenni di questo secolo.